di Linda Santilli

La lotta esausta contro le donne e la loro autodeterminazione non ha sosta e procede martellante come è in uso con particolare foga nel nostro paese. Dopo vescovi, preti, crociati, politici disseminati a destra e sinistra, predicatori televisivi vari, adesso è la volta di un giudice tutelare di Spoleto portare l’affondo contro la legge 194. L’uomo ha bloccato le pratiche di una ragazzina minorenne in procinto di interrompere la gravidanza per farsi paladino dell’embrione appellandosi ad una

sentenza emanata alcuni mesi fa dalla Corte di giustizia di Strasburgo in cui si vieta di brevettare i risultati di ricerche sulle cellule staminali. Dunque il 20 giugno la Corte costituzionale dovrà esprimere il suo parere in particolare sull’articolo 4 della legge 194, l’articolo che stabilisce la possibilità di ricorrere all’interruzione di gravidanza entro 90 giorni dal concepimento se la donna anche sulla base delle condizioni di salute, economiche, sociali e familiari corre un serio pericolo psicofisico. Secondo il giudice umbro l'articolo 4 costituirebbe una lesione del diritto alla vita dell'embrione.

In attesa che giunga il verdetto non ci resta che fare alcune riflessioni, brevissime perché già fatte negli anni a iosa e perché fiumi di inchiostro e di parole le donne hanno già speso, ma anche amare perché le ragioni oggi avanzate da costui, il giudice tutore dell’embrione, erano già scritte e noi l’avevamo detto. Suona presuntuoso ergersi a “Cassandre”, ma è impossibile non farlo. Impossibile non tornare alla discussione animata che vi fu attorno alla legge 40 quando femministe, reti di donne, operatrici socio sanitarie, giuriste e giuristi, scesero in campo perché si vincesse la battaglia referendaria per abrogarla. Una legge anticostituzionale, fu detto a gran voce, che in un colpo solo sotterra diversi principi fondativi della nostra Repubblica, dall’inviolabilità del corpo femminile, alla laicità dello Stato ad altro ancora. Ma soprattutto apparve evidente che essa, avendo come nucleo centrale la tutela del concepito rendendolo soggetto di diritto a tutti gli effetti, sarebbe stata utilizzata come una clava contro la 194 che invece stabilisce il primato delle donne sulla procreazione ed il controllo sul proprio corpo, essenziale alla libertà femminile. Le cose andarono come andarono e il referendum non raggiunse il quorum. E la legge 40 continua ad essere ancora legge dello Stato. E nessuno negli anni successivi, dai banchi del parlamento, anche quando la sinistra era al governo, si è affannato troppo per rimuoverla in toto come andrebbe fatto. L’autodeterminazione femminile, lo sappiamo, non esiste come tema nelle varie agende politiche, non è mai un punto qualificante di programmi elettorali e non rientra tra le preoccupazioni, né principali né secondarie, di partiti e istituzioni. Sparse qua e là spuntano sensibilità, dichiarazioni d’obbligo, frasi facili da dire perché dirle ogni tanto non costa nulla. Ma in fondo si continua a ritenerla una questione specifica e non politica che riguarda le donne e di cui devono occuparsi loro. Nonostante le femministe abbiamo spiegato bene che qui si sta parlando di affermare e difendere l’habeas corpus femminile, un principio costitutivo irrinunciabile perché espressione primaria di un diritto di libertà che è fondamento della comune umanità, e che dunque dovrebbe riguardare tutti e tutte, uomini compresi. Invece non è così. Invece ogni volta che nella storia, nel corso degli ultimi decenni, le donne hanno posto la questione della propria autodeterminazione in tema di riproduzione, sulla libertà del corpo femminile si sono giocate sempre mediazioni a ribasso, e pochi hanno avuto il coraggio di portare avanti una battaglia netta senza se e senza ma. Il punto è che se vuoi affermare un principio non puoi mediare. Se sei contro la guerra non c’è mediazione che tenga, ti opponi e basta, “senza se e senza ma” appunto.

Così non è stato mai per la libertà delle donne, infatti come sappiamo la stessa legge 194 approvata del 1978, fu il frutto di un imponente lotta delle donne, e di mediazioni politiche estenuanti, mediazioni di cui per altro proprio l’articolo 4 è espressione evidente. E dopo compromessi faticosissimi tra cattolici e non, l’interruzione di gravidanza fu finalmente resa possibile ma solo sotto la tutela dello Stato e solo sottoponendosi ad un iter non facile e ostacolato dalla possibilità degli operatori sanitari e dei medici di fare obiezione di coscienza. Quindi perfino quella vittoria straordinaria, che ci parla di un’epoca più felice di quella che viviamo, fu il risultato di grandi mediazioni.

Tornando ora un momento alla nostra epoca meno felice e dunque alla legge 40, è bene ricordare che essa non nacque dal nulla, tantomeno dalla mente diabolica di uomo di destra, ma si è andata alimentando via via nel corso di diverse legislature ed in diversi disegni di legge presentati anche da forze di sinistra, che erano tutti particolarmente restrittivi proprio per quanto riguarda la libertà e responsabilità femminili, fino ad approdare nell’obbrobrio legislativo finale che conosciamo.

Perché anche pezzi consistenti di sinistra mediano sempre così tanto quando si tratta del corpo delle donne? Perché fanno propria la pericolosa litania della prevenzione e dell’aborto come dramma quasi fossero paroline magiche invece di difendere la libertà femminile e dire su questo una parola definitiva?

Forse perché il patriarcato, cioè il sistema di potere più antico e radicato che esiste, nasce per controllare il corpo riproduttivo femminile. Nasce proprio per questo. Ed usa tutti i mezzi per riuscire nel suo scopo. Ieri come oggi.

 

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