puntointerrogativodi M. Mantellini
 - Di pirateria, di copia abusiva e legale, parlano tutti. Non sempre centrando il punto, ma non tutto il male viene per nuocere. È ora che questi temi diventino agenda: il futuro non aspetta
Roma - Partiamo da un dato di fato: tutte le discussioni che riguardano il futuro della condivisione della conoscenza attraverso la tecnologia sono discussioni buone. Lo sono per una ragione molto semplice: i conservatori dell’esistente, i pochi potenti imbalsamatori della realtà all’anno zero della Rete, non hanno mai avuto alcuna passione per simili discussioni. Preferiscono un consolatorio “È così e basta” ed il ribaltamento di ogni possibile tavolo dialettico.


Così Contrappunti questa settimana dà conto di una discussione interessante che è nata sulla scia di un articolo dello scrittore Vincenzo Latronico pubblicato dall’inserto culturale domenicale del Corriere della Sera, La Lettura.
Scrive Latronico:
Vorrei parlare di pirateria. Avevo Napster quando è nato; tuttora scarico quello che posso, anche se la musica classica - che costituisce gran parte dei miei ascolti - è difficile da trovare, e in genere finisco per comprarla in versione digitale. Lo stesso vale per i film; vado al cinema spesso, ma tutto ciò che non è in sala lo vedo al computer. Le difficoltà di reperimento, o i problemi di connessione, mi spingerebbero ad abbonarmi a un servizio come Netflix (che negli Stati Uniti fornisce legalmente, dietro un piccolo pagamento, ciò che si può scaricare illegalmente), se in Italia ci fosse; ma forse per miopia legislativa, forse per mancanza di mercato, non c’è: e di comodità si fa vizio. È quasi naturale, si potrebbe quindi dire, che io scarichi i libri. C’è una ragione, però, per cui non sembra tanto naturale: ed è che coi libri io ci vivo, più o meno. In quest’ultimo anno i diritti d’autore hanno rappresentato una percentuale non irrisoria dei miei piuttosto irrisori guadagni. Il fatto che io calpesti un diritto altrui che pure spero nessuno calpesti ai miei danni può essere visto come una dissociazione, o una pia illusione, o un tentativo di free-riding, o un sepolcro imbiancato: poco importa. Lo faccio. So che non dovrei,ma lo faccio. E so, o credo di sapere, che prima o poi lo faranno tutti.
C’è molta carne al fuoco in queste poche righe (e anche nel resto del pezzo) e non ha molta importanza se l’autore abbia torto o ragione. L’importante è che se ne parli, che si confrontino posizioni differenti. Così come è importante che un inserto culturale di un grande quotidiano dia spazio ad argomenti del genere, anche fuori dalla connotazione curiosa dello scrittore autolesionista che sfavorisce se stesso.
Il pezzo di Latronico, che si occupa di molti temi importanti ai quali ci siamo in passato dedicati spesso, ha scatenato una ampia discussione in Rete, fortificata da una serie di coincidenze temporali quali la recente chiusura di Megaupload e di alcuni noti tracker torrent, le discussioni sulla normative americane (SOPA) e mondiali (ACTA) che sono in evidenza nelle cronache dei giornali in questi giorni. Nel piccolo della situazione italiana registriamo che, per la prima volta, girano timide voci di progetti per ridurre lo strapotere inefficace della SIAE, escono numeri molto eloquenti sul passaggio della musica verso il digitale, si aspetta pazientemente che gli editori di libri elettronici percorrano uno ad uno, minuziosamente, tutti gli errori che i loro colleghi discografici hanno commesso nell’ultimo decennio prima di capire, per esempio, che i DRM non sono la soluzione ad un rapporto di buon vicinato con i propri clienti (a meno non si offra loro come contropartita un ambiente complessivo molto ben strutturato ed amichevole come fa Amazon con Kindle).
Ben vengano le discussioni, magari partendo da alcuni punti fermi come quello ricordato da Giuseppe Granieri sul suo blog qualche giorno fa. La pirateria - scrive Granieri - è un fattore di sistema:
Se guardi le cose dal punto di vista del digitale (e non da quello del XX secolo), la pirateria è un fattore di sistema. È parte della natura intrinseca dei beni digitali e non trova una collocazione nella logica con cui siamo abituati a far funzionare il mercato.
Quindi, se devo scommettere la mia solita birra parlando del futuro, io credo che la soluzione non sia combatterla (cosa che assomiglierebbe a remare con un fiammifero) quanto capirla e cercare di immaginare un sistema - per l’intera industria culturale - che ridisegni valore e remunerazioni in modo coerente con il digitale.
Non va combattuta la pirateria (e magari va chiamata anche in un altro modo): vanno aggiornate alla modernità le regole e le categorie interpretative.
Il punto di vista del digitale non è più - da qualche anno ormai - lo sguardo esotico di una porzione residuale della società nei confronti di un mondo immobile. È invece il paradigma di una raggiunta normalità alla quale magari fatichiamo ad adattarci ma che non ha alcuna retroazione possibile. Essere digitali non è più l’angolo di visuale del nerd o la predisposizione sognante dell’innovatore, è invece il terreno di coltura della società contemporanea nel suo complesso. Discutere di come aggiornare il flusso delle idee e della conoscenza dentro questo nuovo network è oggi la vera priorità culturale per tutti noi. Quindi discutiamone.
Massimo Mantellini
Manteblog

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