di Claudio Grassi
Dopo le nomine fatte dal Parlamento per i membri dell'’AgCom e Privacy, si attendeva con un certo interesse la “contromossa” del governo in tema Rai. Fra l’altro era stata anche una delle prime confessioni-progetto di Monti, ovvero quel “vedrete” a metà fra il sornione e lo speranzoso offerto in risposta a chi chiedeva lumi sul futuro della televisione pubblica e, più in generale, sul che fare dei vecchi vizi di intromissione dei vari interessi particolari a discapito della collettività.
La nomina del presidente della Rai proposta ieri ha invece confermato che di nuovo non c’è proprio niente. Monti ha scelto fra persone fedeli al mondo comune delle banche, alla faccia delle affermazioni sulla perdita di consenso dei poteri forti. E il criterio della selezione è stato chiaro: solidità di gestione, non qualità del servizio pagato con il canone.
Nessuna differenza con chi nei giorni scorsi ha nominato i propri affini in Parlamento e nessuna attenzione verso chi aveva provato ad innescare, finalmente, un dibattito pubblico sulle nomine improntato alla trasparenza e alla effettiva partecipazione della collettività alle scelte.
Anzi, nella risposta data da Monti a Santoro e Freccero niente è lasciato al non-detto: ci serviva gente che sa fare i conti, non che sa fare servizio televisivo.
Sembra ormai sufficientemente chiaro che per Monti il rinnovamento o prima o dopo passa da una banca.
Cosi come sembra sempre più marcato il prenderci gusto a passare più per politico tecnico che per tecnico in prestito alla politica, vedi la prova di forza sulle nomine e anche la “candidatura” del direttore generale che è di competenza del Cda della Rai e non del governo.
L'unica novità a questo scenario di sfiducia verso il Parlamento e dominio di banche e poteri forti sarebbe una vera opposizione di sinistra a Monti e una sinistra unita che potesse proporre la sua alternativa. A cominciare dal sostegno alla piattaforma proposta dalla Fiom su rappresentanza e reddito.