di Gianluigi Pegolo

La recente consultazione elettorale amministrativa non può essere derubricata come semplice passaggio politico, alla stregua di altre analoghe consultazioni che si sono tenute in questi ultimi anni. Le novità politiche che si sono prodotte in questa circostanza, infatti, sono di tale portata da gettare più di una luce sulle dinamiche che attraversano il corpo elettorale del nostro paese. Naturalmente occorre avere l’attenzione di considerare il voto amministrativo per quello che è, tenendo conto cioè delle sue peculiarità.

Il primo dato che è stato giustamente messo in rilievo da più esponenti politici e commentatori, è stata la crescita dell’astensionismo, misurabile nell’ordine del  7% circa. Quello che invece è stato messo un po’ in ombra è che il fenomeno presenta differenziazioni sul piano territoriale, essendo più concentrato al nord. Se l’astensionismo riflette una disaffezione alla politica, si può allora sostenere che il centro nord del paese è la parte che oggi è più attraversata da una crisi del senso di appartenenza ai partiti e di sfiducia nelle istituzioni, anche locali. Ciò non significa che al sud, all’opposto, vi sia un più radicato senso delle istituzioni, ma probabilmente che qui la dimensione politico-istituzionale, mediata spesso dal clientelismo e certamente più centrale nella vita sociale, conserva un suo peso maggiore.
Non casualmente, il fenomeno Grillo, altra grande novità di queste elezioni, si distribuisce geograficamente in modo pressoché analogo sul piano territoriale, costituendo, almeno per ora, un fenomeno tipicamente centro settentrionale. La sommatoria dei due fenomeni tende ancora di più a differenziare le dinamiche politiche ed elettorali fra le due principali aree del paese. Sul fenomeno Grillo vi sarebbe molto da dire. E’ chiaro che esso è la risultante di un’azione reiterata di delegittimazione del sistema politico veicolata dai mass media, ma la sua estensione fa pensare a qualche cosa di più. Non può sfuggire l'importanza assunta, a tale riguardo, dalla crisi che percorre il paese sul piano sociale, il senso di delusione di massa che essa produce, lo smarrimento e il senso d’impotenza che si diffonde in assenza di una risposta adeguata.
Astensionismo e grillismo alterano profondamente gli equilibri politici locali. Non si dispongono a oggi di serie analisi sui flussi elettorali che consentirebbero di validare alcune ipotesi, tuttavia quel che è certo è che questi fenomeni hanno come corrispettivo la crisi di gran parte del quadro politico. Dalle elezioni amministrative esce devastato il centro destra, sia nel caso del PdL, che in quello della Lega. Analizzando in prima battuta i comportamenti elettorali nei 26 comuni capoluoghi di provincia, i risultati sono sorprendenti. Il PdL perde rispetto alle precedenti amministrative qualcosa come più della metà dei suoi consensi in termini percentuali, rispetto alle regionali quasi i due terzi. Una tale disfatta non potrà che avere effetti dirompenti e il voto annuncia la possibilità di una grande ristrutturazione nella destra italiana, specie in considerazione del fatto che il centro, del cui successo molti non avevano dubbi, si attesta sulle percentuali delle scorse amministrative e subisce un ridimensionamento rispetto alle regionali.
Tuttavia, non solo Il PdL è scosso da una grave crisi, ma ciò vale anche per  la stessa Lega. Il caso Verona, con il successo di Tosi, resta la classica “rondine che non fa primavera”. Il dato aggregato, infatti, evidenzia una crisi fortissima. Il fatto che in termini di peso percentuale la Lega conservi sul piano amministrativo più o meno la forza di cinque anni fa non modifica per nulla questo giudizio, dato che dal 2007 a oggi la sua crescita era stata di tali proporzioni da non giustificare in alcun modo il livello di consensi ottenuto in questa consultazione. Il confronto più significativo e illuminante è, infatti, quello con le regionali. In questo caso si assiste a un vero e proprio crollo. In percentuale la Lega perde qualcosa come i due terzi del suo peso.
Naturalmente, sia nel caso del Pdl che della Lega nord, all’origine di questa disfatta stanno vicende che rimandano alla fallimentare esperienza del governo Berlusconi. Nel caso specifico della Lega, poi, si aggiunge la vicenda recente sulla gestione delle risorse che ha inferto un duro colpo alla credibilità di un partito che era uscito malconcio e insoddisfatto dall’esperienza di governo.
Le elezioni amministrative, tuttavia, indicano che sui comportamenti degli elettori la crisi agisce e in particolare cresce il rifiuto delle politiche del governo Monti. E, infatti, tutte le forze di governo, seppure in modo molto diverso sono penalizzate. Si è detto del PdL, il cui crollo è rovinoso e della flessione, sebbene non così marcata, del terzo polo, ma anche lo stesso PD non ne esce indenne. E, infatti, a dispetto delle dichiarazioni dei dirigenti di questo partito, il risultato non è tranquillizzante. Il Pd, infatti, subisce una flessione percentuale sia rispetto alle precedenti amministrative, sia rispetto alle ultime regionali. In questo secondo caso la flessione è più consistente giungendo a circa un terzo del peso percentuale. L’elemento che offusca queste dinamiche è il fatto che nonostante questi andamenti, il PD avvantaggiandosi del crollo del centro destra, è in grado di accrescere la propria presenza nelle istituzioni locali, concorrendo con buone possibilità per la conquista della maggioranza delle amministrazioni dei comuni capoluoghi e quindi ribaltando i rapporti di forza a livello locale. Ma si tratta, per l’appunto, dell’effetto di una crisi più marcata degli avversari, che cela comunque  una crescente difficoltà - nonostante le smentite – a reggere una collocazione di governo sempre più penalizzante.
Di per  sé, questo fatto, e cioè la perdita di consensi fra le forze di governo impegnate nel sostegno di scelte dichiaratamente liberiste, non è nello scenario europeo un’anomalia. I casi della Francia e della Grecia sono a tale riguardo indicativi. Il punto è che, a differenza di questi, la dinamica che si produce nel nostro paese non trascina la crescita della sinistra. IdV, SEL, e la stessa FdS, pur presentando risultati più incoraggianti del PD, tuttavia non sfondano. Si può discutere del perché ciò avvenga. E’ chiaro che la scarsa mobilitazione sociale non ha favorito l’affermarsi di posizioni alternative, né i tempi e le modalità della crisi sono eguali a quelli di altri paesi, come nel caso della Grecia. Il PD, inoltre, non presenta ancora uno stato di crisi così accentuato come il PasoK. In ogni caso il vento del cambiamento che aveva attraversato la scorsa competizione amministrativa non si è esaurito. I casi di Palermo e di Genova, con il successo di Orlando e Doria, ci parlano di una domanda di alternatività e discontinuità che è presente nell’elettorato progressista.
In questo contesto un ragionamento va fatto anche sulla FdS. Il risultato globale è di tenuta, attestandosi sui livelli raggiunti negli stessi comuni in occasione delle scorse elezioni regionali e cioè intorno  al 2.3 – 2,5%. L’approssimazione è d’obbligo, poiché la FDS in queste elezioni nei comuni capoluogo si è presentata in diversi casi con liste unitarie di sinistra, che peraltro hanno avuto un buon risultato. E’ il caso della Sicilia, dove il risultato ottenuto dalla lista con i Verdi che sosteneva Orlando è stato davvero rilevante, anche se non sufficiente a raggiungere e superare la soglia del 5% necessaria in questa regione per ottenere una rappresentanza. Buoni risultati hanno ottenuto anche altre liste unitarie in Sicilia. In ogni caso, questo risultato, in considerazione del fatto che si ottiene nei comuni e in realtà in cui la FDS di solito non presenta grandi potenziali elettorali, suona come una conferma indiretta di alcuni sondaggi positivi sul voto politico.
 In queste elezioni nei comuni capoluogo non si sono sperimentate solo liste unitarie di sinistra, ma anche coalizioni alternative al centro sinistra. Queste coalizioni, presenti in otto casi su 26, registrano andamenti diversi. Se nei casi siciliani, oltre che a quello di  Asti, i risultati sono più che lusinghieri, lo stesso non si può dire per altre realtà, come a Parma, a  Frosinone e in due città pugliesi, Brindisi e Taranto. In tutte queste realtà all’origine della rottura vi sono stati dissensi con il centro sinistra in ordine al perimetro dell’alleanza, per l’intenzione del PD di aprire la coalizione a forze centriste e in taluni casi di destra, ma anche per dissensi di merito sulle scelte politiche compiute nell’ambito amministrativo. I risultati qui sono scarsi e testimoniano di difficoltà nella costruzione di schieramenti alternativi adeguati. In ogni caso sono prevalsi anche in questa tornata elettorale le coalizioni di centro sinistra, il cui andamento riflette, in primo luogo, lo stato di salute della FDS nei vari territori. Buoni risultati si ottengono fra l’altro a Belluno,  Gorizia, Rieti, la Spezia, Como, Lucca, L'Aquila, Isernia. Maggiori difficoltà si riscontrano in altre realtà. Le differenze nei comportamenti registrano, alla fin fine,  peculiarità locali e i diversi gradi di radicamento delle forze della federazione.

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