Oggi sono cento anni dalla nascita di Franco Basaglia, come giovan? comunist? ne celebriamo la storia e la lotta per un progetto inclusivo e liberante di psichiatria. Il rampante aumento di disagi psichici, la doviziosa (ri-)attuazione di politiche contenitive, reclusive e repressive come la neo-istituzionalizzazione del “malato mentale”, la parziale applicazione della legge 180/78 e della successiva 883, cioè di quelle leggi partorite dalla lotta basagliana contro i manicomi, la difficoltà di attuare politiche sanitarie e sociali per la inclusione sociale anziché il controllo, sono temi tuttora fondativi della crisi del servizio sanitario, nonostante il padre della “Legge Basaglia” abbia, con essa, chiuso i manicomi. Chiudere i manicomi è stato un atto rivoluzionario che doveva portare a realizzare progetti rivoluzionari di salute mentale. Oggi è tempo di riprendere quella lotta chiedendo raziocinio, coerenza e umanità. Tornare alla vecchia via per novelle scorciatoie non sta risolvendo il problema di fondo: il disagio psichico è sempre più profondo e quotidiano, la sanità pubblica sempre più pesantemente taglieggiata, la prestazione stessa ancor più inefficiente e al confine di tutto ciò si ripresenta ancora l’esclusione sociale e politica del paziente psichiatrico, ridotto a mero soggetto da sedare con ogni mezzo necessario. Dopo che lo Psichiatra di San Polo convinse una nazione intera a rispondere seriamente alla questione della salute mentale, l’Italia odierna sa rispondere a misure umane non contenitive solo per una rada dozzina di reparti di psichiatria (SPDC) pubblici dove non si fa contenzione, in tutto il territorio italiano.

L? lavorator? del settore chiedono più organico, strutture e soprattutto organizzazione di queste, il servizio psichiatrico non ha trovato soluzioni nella ricetta neoliberista che sia nell’esoso sistema privato sia nel fatiscente pubblico trova pochissime linee guida, modelli organizzativi validi e omogenei su tutto il territorio nazionale, insieme alla non determinazione di organici multiprofrssionali, livelli altissimi di burnout, conclamati casi di violenza, anche nei confronti di operatori fino all' omicidio di alcuni medici, di contenzione farmacologica e/o meccanica (e alcuni utenti sono morti in questa drammatica condizione), in carenza di figure professionali e risorse tali da poter gestire la richiesta sanitaria e la costruzione della inclusione sociale. In sostanza dentro i dipartimenti di psichiatria italiani ci si ammala di sanità sia che ci si lavori, sia che ci si finisca come pazient? e lì si rischia di rimanere attraverso striscianti meccanismi neoistituzionalizzanti.

Con amarezza e rabbia, ora, ci chiediamo: per avere una sanità che non ci costringe, ma che ci ascolta, dovremo aspettare il bicentenario?

Rosa Rinaldi - Responsabile Sanità PRC
Gianmarco Mereu - Responsabile Sanità Giovani comunisti
Fulvio Picoco - Psichiatra, gruppo nazionale sanità

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