di Roberta Fantozzi
La campagna referendaria che sta per iniziare ha con tutta evidenza un valore straordinario. Per almeno tre ordini di motivi.
Il primo riguarda il merito stretto delle questioni oggetto dei referendum.
Il secondo, il rapporto tra quel merito e la “politica politicante”: l’irruzione di nodi di tale rilevanza da scompaginare un gioco delle alleanze costruito “a prescindere” da programmi e contenuti.
Infine la possibilità che a partire dalla costruzione dei comitati per la raccolta delle firme, quei contenuti si incarnino in una nuova stagione di protagonismo politico diffuso, che la partecipazione diventi parte di un processo “costituente” di uno spazio pubblico dell’alternativa.
Il merito delle questioni riguarda come è noto due atti politici dei governi Berlusconi prima e Monti poi, le cui conseguenze hanno una portata devastante sul modello sociale e i diritti del lavoro. Con il primo, l’approvazione dell’articolo 8 della manovra dell’agosto 2011, si sono poste le premesse per la cancellazione tanto del contratto collettivo nazionale quanto dell’intero complesso della legisazione a tutela del lavoro, rendendo contratto e leggi derogabili dalla contrattazione di secondo livello e dunque dall’accordo con qualsiasi sindacato di comodo a livello aziendale o territoriale. Una mostruosità giuridica chiave di volta del lungo attacco alla contrattazione collettiva e ai diritti del lavoro di Marchionne e Sacconi, viatico per l’importazione del modello americano di relazioni industriali, della balcanizzazione del mondo del lavoro attraverso la competizione azienda per azienda, in una spirale al ribasso senza fine di condizioni e diritti.