di Federica Pitoni*
Il sangue gela. Sudore freddo. Lo stomaco stretto in un pugno di acciaio. Gli occhi si socchiudono per poi riaprirsi. La bocca diviene arsa. Il cuore per un attimo cessa di battere, per poi riprendere impetuoso, accelerando il battito e facendo pulsare forte il sangue. Il cervello elabora quel che gli occhi hanno appena fotografato. No! No! No! Io non voglio vedere. Io non voglio sapere. No! No! No! Piccolo corpo straziato, la testa reclinata, il sangue che ti imbratta. Piccolo corpo straziato da una guerra che non vede fine, da una violenza cieca che imbratta l’anima, sangue palestinese che scorre e impregna una terra che nessuno vuole chiamare Palestina, giovane vita che si ferma nella sua corsa, che colpa avevi? Avevi sangue palestinese e correvi per le strade della tua terra. Questa è la tua colpa. Domani avresti combattuto per questa tua terra. Ma qualcuno ha deciso che per te domani non doveva esistere. E ha fermato la tua corsa. No! No! No! Io voglio vedere. Io voglio sapere. Io voglio raccontare. La mia rabbia. Il dolore di un popolo che è anche il mio popolo. Io non chiuderò gli occhi. E urlerò fino a quando non assorderò il mondo con le mie urla. Perché tutti devono sapere. Tutti devono sentirsi responsabili.