di Luciano Muhlbauer
Al Pirellone non è successo niente. La mozione di sfiducia contro Roberto Formigoni è stata respinta. Nessuna emozione, nessuna sorpresa, beninteso. L'esito era talmente scontato che mercoledì il capogruppo regionale del Pd, in vacanza su un'isola greca, non si è nemmeno presentato in aula. Già, la logica del potere è implacabile e la Lega, al di là delle sceneggiate padane, non ha alcuna intenzione di mollare il presidente ciellino e, soprattutto, di segare il ramo sul quale sta comodamente seduto da oltre un decennio.
Formigoni ovviamente gongola, ma la sfiducia mancata non toglie nulla alla profondità della crisi che lo attanaglia. Al massimo dimostra che la paura di perdere poltrone e privilegi è un potente collante e che dopo diciassette anni di governo ininterrotto della stessa persona e dello stesso gruppo politico, di sovrapposizione tra pubblico e privato, di complicità e di clientele, cambiare le cose in Lombardia è faccenda che non può essere affidata all'improvvisazione.











