di Dino Greco
Liberiamoci, innanzitutto, da tutto ciò che nella manovra di Monti sul lavoro è pura (e volgare, malgrado l'aristocratico aplomb del premier) propaganda. Che l'abolizione dell'articolo 18 - vale a dire il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro nel caso di licenziamenti ingiustificati - possa favorire la fluidificazione di un mercato del lavoro che si finge ingessato da “lacci e laccioli" è una sesquipedale bugia. Perché la flessibilità in entrata è garantita, in Italia, da uno spettacolare florilegio di lavori precari e a termine, un vero “discount" delle braccia; e perché quella in uscita è ampiamente consentita, normata, praticata da una legge dello stato e da non meno vincolanti accordi interconfederali che consentono alle aziende di liberarsi dell'occupazione da esse ritenuta “eccedentaria". L'obiettivo (che più politico non potrebbe essere) del governo è dunque quello di consegnare nelle mani del padrone la facoltà di disfarsi di un proprio dipendente: in ogni momento, a proprio piacere e per qualsivoglia motivo.