di Francesco Sylos Labini

Luciano Gallino, Giorgio Lunghini, Guido Rossi ed altri hanno recentemente scritto una lettera in cui denunciano quella che è, a loro avviso, una gravissima distorsione della realtà da parte dei principali media di questo paese: “La politica è scontro d’interessi, e la gestione di questa crisi economica e sociale non fa eccezione. Ma una particolarità c’è, e configura, a nostro avviso, una grave lesione della democrazia. Il modo in cui si parla della crisi costituisce una sistematica deformazione della realtà e un’intollerabile sottrazione di informazioni a danno dell’opinione pubblica. Le scelte delle autorità comunitarie e dei governi europei, all’origine di un attacco alle condizioni di vita e di lavoro e ai diritti sociali delle popolazioni che non ha precedenti nel secondo dopoguerra, vengono rappresentate … come comportamenti obbligati … immediatamente determinati da una crisi a sua volta raffigurata come conseguenza dell’eccessiva generosità dei livelli retributivi e dei sistemi pubblici di welfare.

Viene nascosto all’opinione pubblica che, lungi dall’essere un’evidenza, tale rappresentazione riflette un punto di vista ben definito (quello della teoria economica neoliberale), oggetto di severe critiche da parte di economisti non meno autorevoli dei suoi sostenitori.”

I promotori di questa lettera non sono gli unici a denunciare un certo monopolio dell’informazione in tema economico. In una memorabile intervista a Marco Travaglio, Tommaso Padoa Schioppa disse “Vi raccomando le pagine economiche. Più ancora che sulla politica, è sull’economia che potete fare la differenza: in genere le pagine economiche dei giornali italiani sono spazi pubblicitari per le banche e le grandi aziende, spesso ben pagati. Voi dovete raccontare quello che gli altri non possono o non vogliono raccontare, e vi garantisco che è una prateria sterminata”. Ma c’è davvero un monopolio d’informazione? Per rispondere a questa domanda in maniera quantitativa abbiamo cercato di identificare chi tra i professori universitari d’economia ha maggiore spazio nei più diffusi quotidiani italiani. Abbiamo dunque considerato la lista dei professori di economia politica, che erano 704 nel 2008, e per ognuno abbiamo contato quanti articoli hanno scritto su La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Sole 24 ore e La Stampa negli ultimi 5 anni e precisamente dal 1 gennaio 2007 al 31 dicembre 2011 (per questo abbiamo utilizzato l’archivio della Camera dei Deputati).

I risultati sono riportati nella seguente tabella solo per coloro con più di 25 articoli in 5 anni.

Nome, Università, Numero Totale Articoli

BARBANAVARETTI Giorgio, Bocconi, 96

BENIGNO Pierpaolo, Luiss, 30

BOERI Tito, Bocconi, 259

BORDIGNON Massimo, Cattolica, 35

BRUNI Franco, Milano, 89

GARIBALDI Pietro, Torino, 72

GIAVAZZI Francesco, Bocconi, 178

GUISO Luigi, EIEF Roma, 36

ICHINO Andrea, Bologna, 49

PEROTTI Roberto, Bocconi, 87

REICHLIN Pietro, Luiss, 38

ROSSI Nicola, Roma TorVergata, 36

TABELLINI Guido, Bocconi, 92

DELL’ARINGA Carlo, Cattolica, 52

MANZOCCHI Stefano, Luiss, 33

MESSORI Marcello, Roma, 32

ONIDA Fabrizio, Bocconi, 32

QUADRIOCURZIO Alberto, Cattolica, 110

SALVATI Micael, Milano, 150

BRUNETTA Renato, Roma, 96

DEAGLIO Mario, Torino, 202

FORNERO Elsa, Torino, 53

LAMALFA Giorgio, Roma, 30

Basta leggere l’elenco delle università di provenienza per rendersi conto che c’è una certa predominanza d’editorialisti dell’università Bocconi. Per capire le relazioni tra i diversi autori è interessante misurare il loro grado di connessione. A questo scopo abbiamo usato Repec che è il più grande database bibliografico di economia disponibile gratuitamente su internet. Abbiamo dunque costruito il grafo seguente, mettendo una connessione tra due diversi autori se sul database Repec compare almeno un articolo scientifico in cui sono coautori

 

Alla lista riportata nella tabella precedente, abbiamo aggiunto due economisti italiani, Alberto Alesina (140 articoli) e Luigi Zinagles (123 articoli), che, pur vivendo e lavorando negli Stati  Uniti, scrivono spesso rispettivamente per il Corriere della Sera e per Il Sole 24 Ore. Dunque il gruppo centrale fortemente connesso è quello dei “bocconiani”. Considerando anche gli altri autori che possono essere definiti di scuola liberista (Zingales, Guiso, Nicola Rossi, Barba Navaretti, ecc.) il risultato di questo studio è molto chiaro: c’è una netta predominanza d’economisti di scuola liberista a cui sono affidati i commenti economici sui principali quotidiani nazionali.  Si potrebbe però argomentare: scrivono più articoli perché sono i migliori. Tuttavia, come ha magistralmente spiegato il filosofo Donald Gillies, nell’economia ci sono diversi paradigmi che, a differenza di quanto accade nelle scienze esatte in cui è possibile una verifica sperimentale delle diverse teorie, coesistono in maniera conflittuale e per questo il pluralismo di posizioni è particolarmente importante. Nell’intero processo di valutazione del lavoro dei singoli si deve dunque considerare la dinamica sociale che riflette l’esistenza delle diverse scuole nonché l’intrinseca difficoltà di stabilire in maniera oggettiva attraverso l’esperimento quale sia la teoria che meglio descrive la realtà.

Inoltre, non si può non ricordare l’incapacità della teoria dominante di prevedere la più disastrosa crisi economica dell’ultimo secolo. Molti hanno notato questa contraddizione: ad esempio Gad Lerner, riferendosi all’inaugurazione dell’ultimo anno accademico, ha scritto: “Possibile che l’autocelebrazione di una scuola economica non le consenta – in quella cornice solenne – il minimo accenno problematico sulle previsioni sbagliate, sulle ricette anticrisi rivelatesi fallaci, sulla necessità di rivedere i dogmi dell’ortodossia finanziaria insegnata nelle vostre aule?” . Lo stesso fece la Regina d’Inghilterra quando nel 2008, in visita alla London School of Economics,  di fronte ad una simile auto-celebrazione domandò: visto che siete tanto bravi … “come mai la maggioranza degli economisti non ha previsto la crisi finanziaria del 2008?”. Questa è la domanda centrale su cui bisognerebbe discutere ancora.

Come uscirne? Ha notato argutamente Carlo Freccero: “Oggi non ci resta che il voto, per questo l’economia globalizzata limita l’autonomia degli Stati. E per questo la politica vuole controllare l’informazione. Dobbiamo ricreare una libertà di informazione, studiare nuovi canali e possibili veicoli di informazione perché si rompa l’incantesimo che ci porta a considerare il presente come l’unica possibilità. Siamo realisti, chiediamo l’impossibile .”

 

ilfattoquotidiano.it

 

 

 

 

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