di Salvatore Cannavò
Incentivi pubblici, profitti privati, futuro dell’occupazione. La crisi che attanaglia il settore del fotovoltaico, l’energia pulita prodotta dai pannelli solari, mette in gioco tutto questo e mette in risalto l’assenza cronica di politica industriale che non sia a breve gittata e per interessi mirati.
La società leader del settore, la Solsonica di Rieti, ha attivato la cassa integrazione per i suoi 222 dipendenti. Una cassa integrazione a rotazione che per 16 figure professionali sarà a zero ore mentre i 130 lavoratori interinali, chiamati con contratti a tempo determinato, sono rimasti senza lavoro da un giorno all’altro.
E’ una delle tante crisi aziendali, come altre dimenticata, nel cuoro di un grande polo industriale sul viale del tramonto. Viali illuminati, piste ciclabili, pulita e ordinata la zona industriale, che da Rieti si sposta verso Cittaducale, ormai si sta popolando di centri commerciali sempre più grandi e di capannoni su cui sempre più spesso appare il cartello “vendesi”. “In dieci, quindici anni – spiega Luigi D’Antonio, segretario provinciale della Fiom – dai circa 10 mila lavoratori impiegati siamo passati a meno della metà”. E non bastano certo le insegne luminose dei vari Trony per rimpiazzare la forza lavoro perduta.
Anche la Solsonica testimonia questa parabola discendente. Erede della Texas Instuments, installata a Rieti negli anni 70 grazie ai fondi della Cassa del Mezzogiorno, lo stabilimento ha occupato anche 1200 operai. Poi la casa madre ha seguito il denaro degli incentivi pubblici che si spostavano ad Avezzano, in Abruzzo (successivamente abbandonato). A Rieti lo stabilimento viene rilevato dalla Eems che fornendo semiconduttori all tedesca Siemens tiene botta almeno fino agli anni 2000 anche se la manodopera scende a 5-600 dipendenti. Nel 2005, poi, la Eems sceglie la strada della Cina e nel giro di pochi anni viene fatta nascere la produzione di pannelli fotovoltaici che in comune con i semiconduttori hanno solo il silicio.
Solsonica eredita dalla originaria Texas Instruments e poi dalla Eems – che nel frattempo è quotata in borsa – la bella location del suo stabilimento: stile Silicon Valley, con pratino verde, alberi curati e asilo aziendale, si getta in un settore che dal 2005 beneficia di un enorme flusso di denaro pubblico grazie agli incentivi che finanziano l’installazione di energia pulita. I clienti finali, grazie ai Conti Energia varati negli anni – il 27 agosto è partito il quinto – beneficiano di un risarcimento pari all’energia che riescono a immettere nella rete elettrica nazionale. In pochi anni lo Stato ha speso 6,7 miliardi di euro che non sono andati direttamente alle casse delle aziende ma che hanno favorito un traino della domanda davvero eccezionale. Il rapporto statistico 2011 fornito dal Gestore Servizi Energetici (Gse) descrive una dinamica di crescita esponenziale: nel 2007 gli impianti installati sono 7.647 che diventano 32mila l’anno successivo, 71mila nel 2009, poi 155mila nel 2010 e infine 330.196 nel 2011. I comuni che hanno almeno un pannello solare installato passano dall’11% del 2006 al 95% del 2011. In cinque anni la produzione di impianti aumenta di 280 volte. Gli incentivi sono fondamentali: il Conto energia, che premia con tariffe incentivanti l’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici per un periodo di 20 anni, cesserà quando avrà raggiunto cumulativamente la somma di 6,7 miliardi.
Uno spostamento di risorse contestato dalle aziende di energia tradizionale – Enel ed Eni, innanzitutto – e difeso, ovviamente, dagli ambientalisti. E, per gli intrecci perversi dell’economia italiana, facilitato dalla contestuale crisi dell’Alcoa. E’ stato infatti il decreto con cui il governo Berlusconi favorì l’azienda di Portovesme, a far riaprire i termini per usufruire degli incentivi. Tutto ciò è stato forse utile a far decollare un settore che dovrebbe essere strategico pensi ai fumi dell’Ilva – ma ha drogato il mercato con effetti oggi drammatici. Anche perché a pagare gli incentivi sono state le bollette elettriche di tutti gli altri consumatori. Per tutte queste ragioni, il governo ha dimezzato gli incentivi e con il 5° Conto Energia ha deciso di chiudere il rubinetto. Con effetti immediati sulla produzione e, a cascata, sulla occupazione.
In Solsonica non contestano il fatto di aver beneficiato degli aiuti ma puntano il dito contro la concorrenza cinese, definita “sleale”. “I produttori cinesi – spiega al Fatto Giuseppe Scopigno, dirigente dell’azienda reatina – riescono a imporre prezzi sotto costo grazie agli aiuti che ricevono dallo Stato. Servirebbero dei dazi per riequilibrare il rapporto”. Anche qui torna il tema degli aiuti di Stato. Che quando finiscono si scaricano sul l’occupazione. “L’azienda non ha capito in tempo come si muoveva il mercato” spiega Giuliano Casciani, Rsu Fiom , in azienda dai tempi della Texas. “Si capiva già con il 4° Conto Energia che il vento sarebbe cambiato e non sono state prese tutte le misure” aggiunge il rappresentante del sindacato che, pure, finora ha tenuto un atteggiamento di collaborazione con l’azienda. Che però non ha impedito la cassa integrazione, per il momento a rotazione, ma che a settembre potrebbe vedere la chiusura dello stabilimento. “Noi non intediamo chiudere” sottolinea Scopigno. Eppure c’è chi è già restato a casa.
Domenico Carvetta è un ingegnere elettronico di 50 anni. All’azienda ha dato molto, ha fatto formazione negli Usa e in Cina, si è già fatto due anni di cassa integrazione dal 2008 al 2010 utilizzati per fare formazione, scrivere due libri, “sapere ogni cosa sul fotovoltaico”. Eppure, ad agosto, mentre era in vacanza in Calabria ha ricevuto una telefonata che diceva: “Il tuo profilo non serve, sei in Cassa integrazione, prolunga pure le tue ferie”. “Ovviamente, la mia vacanza è finita”. Da 2200 passa a 800 euro mensili con un “taglio lineare” netto alla sua spesa e a quella della sua famiglia. E’ una persona solare, ottimista che riferendosi all’azienda dice sempre “noi”. Eppure, di fronte alla crisi attuale spiega che per la prima volta “tra oggi e il futuro vedo un vuoto difficile da colmare”. Il foto-voltaico in Italia, oggi, è anche questo.
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