di Pietro Spataro
Che un consigliere abbia paura di dire pubblicamente ciò che pensa è un fatto molto preoccupante. Che non riesca a dire apertamente che nel movimento a cui appartiene non c’è democrazia e vige un sistema padronale dominato da un personaggio «spietato e vendicativo», è il sintomo evidente di una grave anomalia.
Per Marco Travaglio, invece, la denuncia fuorionda di Giovanni Favia contro il metodo con cui Grillo e Casaleggio governano i Cinque Stelle è il sintomo evidente di «salute e di vitalità».
Lo scandalo è altrove, ovviamente: cioè in quella «fogna chiamata politica» dove s’aggirano solo «ladri, mignotte e vecchie muffe».
E dove, come ci spiega il Fatto di ieri qualche pagina più avanti, vige la «democrazia dei brogli» con «tessere finte e congressi truccati».
Diciamo la verità: è una strana idea di democrazia quella che aleggia nei pensieri di Travaglio. Se consentire al capo di un partito di dettare comunicati e impartire ordini ai suoi adepti attraverso un computer, se assolvere o condannare usando un blog o espellere i dissidenti con un battito di web sono considerati atti democratici, vuol dire che si è persa completamente la bussola.
Quando si è prigionieri della sindrome populista evidentemente non si riesce più nemmeno a discernere il vero dal falso. Quella che Grillo chiama con enfasi «iper-democrazia» si sta rivelando niente di più che la regola ferrea di una caserma governata con gli insulti e i diktat. Nella quale le idee degli altri, nonostante la demagogia delle consultazioni on line, contano meno di zero se non sono in sintonia con quelle dei due grandi capi.
Tant’è che un signore che aveva provato a dire la sua, Tavolazzi, è stato cacciato senza nemmeno l’ombra di un regolare processo e l’onere della prova. Lo stesso Favia ora viene accusato di aver ordito il complotto con un fuorionda concordato e non rubato e vedrete che sarà messo alla porta. E il sindaco di Parma Pizzarotti, che si era permesso di dire in un’intervista che serve un congresso, è stato costretto a fare autocritica e a rettificare in malo modo.
Definire tutto questo un sintomo di vitalità ce ne vuole. Farlo sembra invece solo un esercizio di equilibrismo tipico di un giornale che pensa di difendere la verità rivelata e considera nemici tutti quelli che possono metterla in discussione. Che il Fatto sia diventato l’organo ufficiale di Grillo e Casaleggio è ormai un dato, basta leggere ogni giorno quel che scrive.
Problemi loro, naturalmente. Ma un po’ di sobrietà nel difendere l’indifendibile non guasterebbe da parte di chi impartisce lezioni di moralità e di giustizia. D’altra parte però che cosa ci si può aspettare di più da Travaglio? Tempo fa confessò di aver votato Bossi, che dirigeva un partito nel quale la democrazia non è riuscita a trovare nemmeno uno scomodo strapuntino.
Evidentemente Travaglio è affascinato dagli uomini forti: quelli che, come diceva una vecchia pubblicità, non devono chiedere mai.
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