di Lea Melandri

È tornata Miss Italia e quest’anno con costume intero e tante iniziative di “solidarietà e sociali”, misure che la dicono lunga sul moralismo necessario per coprire le ragioni essenzialmente economiche del concorso e l’uso spregiudicato di una logora concezione sessista della donna, fatta propria purtroppo anche da chi l’ha subìta storicamente. È vero, come ha detto Patrizia Mirigliani in risposta a chi aveva mosso accuse di “razzismo”, che le donne oggi «non si fanno trattare come oggetti».
Ma secoli di asservimento materiale culturale a un modello dato lasciano il segno, soprattutto se non solo di schiavitù si è trattato, ma della possibilità di usare a proprio vantaggio attitudini, identità, ruoli creati dal desiderio e dall’autorità del dominatore.


Tali sono state, e sono in parte tutt’ora per le donne, la bellezza (la seduzione) e l’oblatività materna. Si può discutere -e lo si sta facendo da anni- se sia libertà mercanteggiare i corpi, assecondando le domande del mercato: pubblicitario, televisivo, aziendale.
Ma questo non dovrebbe distoglierci dall’esprimere un giudizio su un evento che da 73 anni, con successo quasi inalterato, convoglia sogni, desideri, aspettative femminili, mescolandoli abilmente con gli interessi di una quantità di sponsor, orgogli municipali e regionalistici, ammiccamenti a leggi, riforme, figure istituzionali.
Le innovazioni introdotte quest’anno fanno pensare, più che a un concorso di bellezza, a uno spettacolo di beneficenza, a un’agenzia di collocamento, a iniziative di sostegno per la salute e i diritti dei cittadini, e persino degli animali. In altre parole: un progetto nato per Dare una mano alle giovani -che è il nome della Fondazione dedicata al defunto patròn Mirigliani-, per valorizzarle e tutelarle, avviarle a brillanti carriere.
Delle candidate molisane veniamo a sapere che hanno sfilato «per gli orfani del Mater Orphanorum di Cercemaggiore»; delle ragazze provenienti dall’Emilia, che raccoglieranno contributi per i sindaci dei paesi più danneggiati dal terremoto; di altre, nate o cresciute in Italia, figlie di immigrati e per la prima volta in gara, che hanno scritto a Giorgio Napolitano perché venga approvata una legge che le riconosca cittadine. A conferma dell’apertura verso la multietnicità, viene eletta Miss Mascotte una nigeriana.
Ma l’elenco delle buone azioni e del politicamente corretto è molto ampio e declinato sui versanti più diversi. Si va dal calendario «senza nudità» delle «Donne che vincono» –dedicato agli infortuni femminili sul lavoro-, alla destinazione di una borsa di studio e relativo stage presso l’università per la vincitrice, all’iniziativa fatta insieme alla Fondazione Vodafone e alla Polizia di Stato: «Vodafone Angel: stop stalking, servizio di pronto soccorso a tutela delle donne ad alto rischio di violenza».
Non si dice chi siano le potenziali vittime, ma è chiaro che la preoccupazione è per le candidate stesse. Infine, a coronamento di un impegno civile a tutto campo, non poteva mancare la campagna contro l’abbandono degli animali domestici.
Ad alcuni cani è stato concesso il privilegio -si può credere molto invidiato da gran parte della popolazione maschile- di posare in braccio a tanta bellezza.
Verrebbe da dire: quanto affanno, quanta fatica, quanta volontà di moralizzazione, quanto sforzo per dimostrare -come hanno detto a più riprese gli organizzatori intervistati dai giornali- che c’è «bellezza ma anche cervello», che Miss Italia è una «palestra di vita», che le candidate sono tutte donne che studiano, che il concorso è «una piccola accademia» impegnata a «far emergere le loro personalità, le loro attitudini». «Vorrei trasmettere ciò che ho dentro» –dice una studentessa liceale.
Chissà se è a questa ricchezza interiore che si riferiva Fabrizio Frizzi, il tradizionale conduttore di Miss Italia, quando a proposito del costume intero, commentava: «la vera bellezza non va esibita».
Ma non c’è copertura -di buon costume, solidarietà, impegno civile, protezione dei deboli- che possa far passare inosservata quella che non è un’offesa alla morale o alla dignità femminile, ma semplicemente all’intelligenza di tutti, donne e uomini. Se non bastasse l’effetto “branco” –ammasso omogeneo, seriale, di corpi numerati-, ci sono le risposte delle concorrenti ai “piccoli quiz” introdotti «per vagliare, oltre alla bellezza, anche le caratteristiche nascoste e capire in quali valori credono». Ripetitive e prevedibili, visto che devono corrispondere alla parola d’ordine «non solo belle», elencano le professioni più varie a cui le giovani sembrano avviate -ingegnere, mediche, farmaciste, economiste, magistrate, educatrici, architette, fotografe, ecc.-, a cui fa seguito, non si sa con quale logica o segreto intendimento, la richiesta di vincere una corona che, nel migliore dei casi, potrebbe portarle a sorridere per la pubblicità di un dentifricio. Molte dicono di essere «determinate», ma è difficile, dentro la gabbia uniformante in cui sono messe, capire se inseguono valori, soldi, successo, carriere o solo compiacimento narcisistico.
«Qui nessuno misura fianchi, seno, glutei, peso» -rassicura Patrizia Mirigliani- «noi siamo quelli che si impegnano per la prevenzione dei tumori al seno, che mettono in allarme le ragazze contro i pericoli dell’anoressia, che impediscono alla minorenni di apparire in Tv». Quest’anno sono ammesse in gara persino le taglie 44 e per il futuro è previsto persino un innalzamento dell’età.
Tutto a posto dunque: una campagna laica delle buone opere che si prodiga per la salute, il lavoro, la riuscita sociale delle donne, e che dovendo “selezionare” le Miss sulla base di «un trend di attrattiva facciale» secondo proporzioni e canoni «non comuni» –cioè al di sopra della popolazione «normale»-, lo fa ricorrendo alle ricerche dell’Istituto del Sacro Cuore di Roma. (Donna moderna, 30 maggio 2012). E così c’è anche il benestare della religione.
Non so se posso vantarlo come pensiero mio, finora pubblicamente inconfessato, o se l’ho sentito dire da qualcun altro, a cui va la mia più sincera condivisione, ma lo dirò ugualmente: se fossero animali anziché persone, le organizzazioni degli animalisti sicuramente sarebbero già intervenute.
Ma si sa, gli umani si perdonano tra loro molte cose.

 

27esimaora.corriere.it

 

 

 

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