di Franco Astengo
Le drammatiche vicende legate al progressivo processo di ulteriore de-industrializzazione in atto nel nostro Paese chiamano ad una riflessione attorno alla possibilità di avanzamento di una proposta di politica economica, unitariamente sorretta nel mondo sindacale e in quello politico, tale da rappresentare una alternativa, aggregare soggetti, fornire respiro ad una iniziativa “di periodo”.
Il concetto di fondo che è necessario portare avanti e rilanciare è quello della programmazione economica, combattendo a fondo l'idea che si tratti di uno strumento superato, buono soltanto – al massimo – a coordinare sfere private fondamentalmente irriducibili.
Una programmazione economica condotta con riferimento all'irrinunciabile valenza europea e avente al centro l'idea dell'iniziativa pubblica in economia attorno ad alcuni fondamentali campi di intervento:
1) Il territorio. Serve un piano straordinario per il ripristino dell'assetto idro-geologico del territorio che va franando dappertutto, dal Nord al Sud, sulle coste e nell'entroterra. Eguale urgenza ha, ovviamente, il tema della difesa dell'ambiente nel sue complesso, dello smaltimento dei rifiuti, della cementificazione;
2) Le infrastrutture. La situazione delle ferrovie italiane è semplicemente disastroso, così come quello delle strade ed autostrade, in particolare al Sud;
3) Il nodo energetico, non risolvibile, ovviamente, con un ritorno al nucleare;
4) Il finanziamento della ricerca destinata soprattutto verso l'innovazione di processo nell'industria;
5) Il rilancio del settore industriale. La Fiat può esercitare il suo ricatto perché questo Paese è privo, da anni, di politica industriale. Siamo, per varie ragioni, pressoché privi di siderurgia, chimica, agroalimentare, elettromeccanica, elettronica. In questa situazione ormai sono asfittici e sottoposti al processo di delocalizzazione anche quei settori “di nicchia” sui quali si era basato lo sviluppo anni'80- anni'90;
6) Il rientro della programmazione pubblica nel settore bancario, con l'obiettivo principale del credito nella media e piccola industria;
7) Il rientro dal precariato e l'inserimento stabile della manodopera extracomunitaria;
8) La lotta all'evasione fiscale, praticamente abbandonata, dopo le roboanti proclamazioni verbali di qualche mese fa.
Accanto a questi punti del tutto irrinunciabili ci sono da valutare anche gli elementi di spreco che vengono principalmente da due parti: il gigantismo dell'apparato politico portato soprattutto dalla personalizzazione della politica (pensiamo alla dimensione gigantesca del debito delle Regioni, elefantizzatosi dal momento dell'elezione diretta dei Presidenti), e il processo di spreco e di diseguaglianze già causato dal cosiddetto “federalismo” così come questo, in maniera del tutto raffazzonato e legato ad egoismi di parte è stato concepito, ed il tema della riconversione ecologica di parte dell'apparato produttivo e delle prospettive di uso del territorio che pure vanno considerate con grande attenzione.
Lasciamo anche da parte, per motivi di economia del discorso, i temi dell'intreccio inedito che si sta realizzando, ormai da qualche anno, tra struttura e sovrastruttura, in particolare nell'informazione: si tratta comunque di un tema assolutamente decisivo nella lotta sociale e politica di oggi.
Come può essere possibile avviare un programma di questo tipo nelle condizioni di crisi globale dentro cui, oggettivamente, ci stiamo trovando?
Quella parte del movimento sindacale che non intende piegarsi al diktat e quei settori della sinistra che intendono portare avanti, assieme, un programma di opposizione e di alternativa, senza cadere nella trappola dell'omologazione ai modelli dell'avversario e senza legarsi a settori politici dai quali possono venire soltanto elementi di ulteriore sopraffazione per il movimento operaio, hanno il dovere di pensare, appunto, nei termini dell'opposizione per l'alternativa , lavorando prima di tutto sul tema della propria autonomia politica, programmatica, organizzativa.