di Paolo Pini

Mentre i lavoratori metalmeccanici su iniziativa della FIOM scioperavano contro l’esclusione dalle trattative del rinnovo del loro contratto nazionale di lavoro e contro l’Accordo di Produttività sottoscritto il 21 novembre scorso dalle parti sociali ma non dalla Cgil, è arrivata la firma del rinnovo triennale 2012-2014 del contratto nazionale (CCNL) da parte di Federmeccanica e Assistal, per i datori di lavoro, FIM e UILM, per i sindacati dei lavoratori, senza la firma della FIOM. È il primo importante contratto nazionale – riguarda circa 1.600.000 lavoratori, una quota importantissima della manifattura italiana – che viene rinnovato dopo la firma dell’Accordo di Produttività, quell’accordo che, come abbiamo scritto (Antonioli, Pini, 2012) alcune settimane fa, “non contiene nulla (di buono)”.

Cosa prevede il rinnovo del contratto nazionale dei meccanici? Anzitutto è un rinnovo non solo della parte economica, ma anche della parte normativa, come era il precedente accordo separato del 15 ottobre 2009 per il triennio 2010-2012, anche questo non firmato dalla FIOM. La parte normativa del contratto è quella parte che regola organizzazione del lavoro, orari di lavoro, straordinari, mansioni e qualifiche, flessibilità del lavoro, tutele delle malattie, previdenza integrativa sanitaria, ecc. Ovvero un contratto che fissa da un lato i minimi contrattuali retributivi, e gli aumenti delle retribuzioni per tutti i lavoratori a cui si applica, e dall’altro le condizioni di lavoro e le prestazioni lavorative dei dipendenti dentro le aziende. Il precedente contratto nazionale sulle parti normative (scadenza prevista 2011 per la parte normativa, con recesso di Federmeccanica nel 2010) ed economiche (scadenza 2009 per la parte economica) era del 28 gennaio 2008, firmato da tutte le sigle sindacali, ed era stato sostituito dal contratto separato del 15 ottobre 2009.

Il CCNL dei meccanici rinnovato il 5 dicembre 2012 sul piano retributivo prevede un aumento di 130 euro lorde mensili per il quinto livello di inquadramento, sui tre anni di vigenza dell’accordo, spalmate in tre trance. 35 euro il 1 gennaio 2013, 45 euro il 1 gennaio 2014 e 50 euro il 1 gennaio 2015. Per gli altri inquadramenti sotto il quinto saranno inferiori, a partire da 81 euro mensili per il primo livello, o superiori fino ad arrivare ai 170 euro mensili per il settimo livello. Per i lavoratori dipendenti di imprese in cui non esiste la contrattazione di secondo livello è previsto un aumento, per la voce detta perequativa, di 30 euro sotto forma di salario accessorio, da 455 a 485 euro lordi annuali. Considerando il primo livello di qualifica, la retribuzione lorda passa quindi da 1218 a 1299 euro lordi mensili entro il 2015, pari ad un aumento del 6.6% circa in tre anni, in media 2,2% annuo. Questo aumento dovrebbe essere quanto è collegato al mantenimento del potere d’acquisto del salario, in base al meccanismo di indicizzazione previsto dall’accordo del gennaio 2009, non sottoscritto dalla CGIL, ovvero in base all’indice armonizzato dei prezzi al consumo IPCA (al netto dei beni energetici), che come è noto non tutela appieno il potere d’acquisto del salario (Antonioli, Pini, 2009; Acocella, Leoni, 2009, 2010).

Nel periodo 2010-2012, il tasso di inflazione IPCA per i beni e servizi di consumo è stato superiore al 7%, con media annuale superiore al 2%, dati provvisori Istat (http://www.istat.it/it/archivio/75904), per cui l’aumento delle retribuzioni copre a mala a pena l’inflazione misurata dall’indice IPCA. Se così fosse, l’accordo non prevederebbe da un lato una crescita delle retribuzioni reali del lavoro se comparate alla inflazione passata, e dall’altro non sembrerebbe implicare un aumento delle retribuzioni per un guadagno di produttività del settore nel periodo, ma neppure uno spostamento della quota del salario da contratto nazionale al contratto aziendale o territoriale, come indicato nel recente Accordo di produttività del novembre 2012.

In alternativa, qualora l’aumento della retribuzione sia comprensivo del recupero dello scarto tra inflazione programmata e inflazione effettiva a consultivo per gli anni 2010-2012, senza ulteriori verifiche e conguagli, allora occorre valutare quale quota sia da addebitare al recupero dello scostamento tra programmato e effettivo, e quanto invece sia la quota da attribuire alla eventuale produttività di settore, peraltro non prevista nell’Accordo di Produttività del novembre 2012, e neppure nell’Accordo Quadro sulla Contrattazione del gennaio 2009, anche questo non firmato dalla CGIL. Una verifica successiva è senz’altro necessaria per chiarire questo aspetto, alla luce proprio dell’Accordo di Produttività del novembre 2012.

È interessante osservare che nell’ipotesi di accordo per i meccanici del 5 dicembre 2012 viene dichiarato che, per favorire accordi per l’incremento di produttività ed eventualmente fruire dei benefici fiscali e contributivi che saranno definiti dal Governo in relazione all’Accordo del novembre 2012, “potrà essere stabilita una diversa decorrenza della seconda e della terza trance di aumenti minimi con spostamento in avanti fino a dodici mesi. Al termine di ciascun periodo di differimento i minimi dovranno in ogni caso essere incrementati degli importi previsti alla tabelle precedente”. Da cui si deducono due ipotesi: a) che se il Governo interviene come promesso, una quota della retribuzione negoziata con il CCNL passa al livello decentrato, quindi nella logica sottostante da certa diviene incerta, perché variabile se eventualmente gode dei vantaggi fiscali, e comunque viene posticipata per due trance finanche di 12 mesi; b) che al termine del periodo di differimento i minimi retributivi dovranno comunque aumentare come previsto dall’accordo. Per cui sembrano presentarsi proprio le due situazioni che avevamo ipotizzato nella nostra nota “Produttività: un accordo con nulla di buono”, scritta a seguito della firma dell’Accordo di Produttività del novembre 2012 e pubblicata su Sbilanciamoci.info: una quota di salario regolata dal contratto nazionale passa al contratto decentrato, e tale quota da certa diventa incerta; oppure si afferma la prassi di contratti “cosmetici” (ovvero finti) di produttività in quanto la quota che transita da un livello all’altro è comunque garantita e per definizione non dovrebbe produrre alcun effetto positivo sulla produttività, ma solo un onere per coloro che pagano lo sgravio fiscale sotto forma di maggiori imposte che gravano sulla fiscalità generale.

Indipendentemente dalle due ipotesi (a) e (b) avanzate sopra, emerge comunque che l’aumento retributivo che il nuovo CCNL prevede si limita all’ammontare indicato con la prima tranche, in quanto la seconda e la terza tranche vengono accreditate sulla contrattazione di secondo livello e su questo livello verranno fatte pesare dalle imprese in fase di contrattazione decentrata. Quindi si tratta di 35 euro per il quinto livello, con valore minimo di 22 euro per il primo livello e valore massimo di 46 euro per il settimo livello, un incremento pari a circa il 2% rispetto ai minimi contrattuali precedenti. Questa quota è ben al di sotto del tasso di inflazione del triennio, o, in alternativa, non è evidente che copra lo scostamento tra inflazione programmata ed inflazione effettiva. Il resto è infatti di pertinenza del livello decentrato. Anche per questa ragione non ci pare errato affermare che il valore del contratto nazionale è di molto ridimensionato.

Sul piano normativo l’ipotesi di accordo per il CCNL dei meccanici prevede alcuni interventi che modificano alcune tutele per i dipendenti, spostano al secondo livello decentrato maggiore autonomia delle parti su alcuni istituti, e soprattutto lasciano alla parte datoriale la gestione di alcuni di questi istituti, ora prevista in automatico mentre prima era oggetto di contrattazione.

Si ha un riordino del trattamento economico in caso di malattia. Anzitutto nel caso di malattie brevi ripetute, quelle di durata entro i 5 giorni, i primi 3 giorni sono retribuiti al 100% per i primi tre periodi di malattia, che si riduce al 66% per il quarto periodo, ed al 50% per il quinto periodo ed oltre, introducendo quindi un meccanismo di penalizzazione più forte rispetto alla normativa precedente che faceva scattare la penalizzazione dopo il settimo periodo nel triennio. Una compensazione è che in ogni anno con il nuovo contratto si azzera la situazione esistente. Comunque questo contratto nazionale non prevede più che i primi tre giorni di malattia siano retribuiti al 100% qualora il lavoratore abbia già usufruito di analogo istituto in precedenza per tre volte. Per le malattie prolungate, aumentano i periodi pagati al 100%, mentre i periodi oggi pagati al 50% vengono innalzati all'80%; inoltre trascorsi 61 giorni, ogni nuovo evento viene considerato a se stante e quindi non cumulabile con le malattie precedenti. L'accordo prevede anche l’aumento del contributo delle imprese al Fondo sanitario integrativo che arriverà fino a 108 euro l'anno entro il 2015 (con un +48 euro a carico dell’impresa, e un +24 a carico del lavoratore) (fonte FIM-CISL).

Sugli orari di lavoro e le ore di straordinario si prevede che il datore di lavoro possa godere di maggiori flessibilità, compensate comunque da flessibilità in entrata ed uscita per esigenze familiari. Vengono aumentati di 16 ore annue i limiti previsti oggi per l'orario plurisettimanale e lo straordinario (da 104 a 120 ore; da 112 a 128 per le imprese sotto i 200 dipendenti), consentendo alle aziende un mix tra questi due istituti contrattuali, con una retribuzione maggiorata del 58%. L’accordo amplia la possibilità dell'utilizzo individuale dei permessi e consente nei casi di malattie di figli o familiari di utilizzarli senza preavviso all'azienda.

Per quanto riguarda il mercato del lavoro, in relazione a quanto previsto dalla riforma Fornero 2012, sono previsti interventi sull'apprendistato e sui contratti a tempo determinato, estendendone alcune tutele, cosi come sul part-time sembrano estese alcune garanzie ai fini dell’accoglimento di richiesta dei dipendenti, entro i limiti però del 4% degli occupati dell’impresa (fonte FIM-CISL).

Ma la firma del contratto ripropone con forza il tema del diritto dei lavoratori a scegliere il sindacato che deve negoziare per loro. La vicenda riporta all’Accordo Interconfederale del giugno 2011, dello scorso anno – si noti, firmato da CGIL, CISL, UIL, e Confindustria – che prevedeva un percorso chiaro in tema di democrazia sindacale, esigibilità dei contratti, referendum dei lavoratori sugli accordi sottoscritti tra le parti, ecc. ecc. ecc. In quell’accordo – rimasto non applicato tanto che proprio l’Accordo di Produttività firmato il 21 novembre 2012 rinvia a fine 2012 il raggiungimento di una intesa operativa sulla questione (quanto mai improbabile ora) – si prevede che i sindacati che rappresentano almeno il 5% dei lavoratori hanno diritto di negoziazione con le associazioni di rappresentanza delle imprese a livello nazionale e decentrato. La FIOM-CGIL ha 358.722 iscritti nel 2011 (fonte: www.cgil.it), pari al 22% del lavoratori metalmeccanici per i quali il contratto nazionale è stato rinnovato. È anche il sindacato più rappresentativo del settore, essendo i lavoratori iscritti a FIM-CISL e UILM-UIL inferiori in numero (dichiarati 200.000 per la FIM e 90.000 per la UILM). Nonostante ciò la FIOM-CGIL non ha partecipato alle trattative, non essendo stata chiamata al tavolo del negoziato da Federmeccanica e Assistal, con l’assenso degli altri due sindacati, se non su richiesta degli altri due sindacati. La motivazione avanzata è che la FIOM non avendo sottoscritto il contratto precedente, non sarebbe titolata a partecipare alla suo rinnovo. Avrebbe dovuto aderire a quell’accordo, non lo ha fatto, per cui viene esclusa dal negoziato. Una vicenda non molto diversa da quanto accaduto in FIAT dopo che l’accordo di gruppo non era stato sottoscritto dalla FIOM, era stato portato alla consultazione referendaria dei lavoratori, consultazione che ha condotto alla approvazione dell’accordo stesso, ma consultazione non riconosciuta valida dalla FIOM per le ragioni note, con conseguente esclusione non solo da ogni forma di confronto successivo, ma anche dagli organismi di rappresentanza aziendali, le RSU ed anche, come è noto e provato in sede legale, con effetti discriminatori nelle assunzioni nella nuova Fabbrica Italia degli ex lavoratori dipendenti FIAT iscritti alla FIOM.

Quindi non è corretto affermare che il rinnovo sottoscritto ieri non sia stato firmato dalla FIOM, che quindi si è “tirata fuori” per l’ennesima volta, come già viene annunciato da alcuni commentatori. Semmai è evidente che neppure è stato chiesto alla FIOM di leggere l’ipotesi di accordo che rinnova il CCNL prima che fosse chiusa la negoziazione, essendo stata esclusa dalle trattative. Si ricorda che in occasione della discussione sull’Accordo di Produttività del novembre 2012, il Segretario Nazionale della CGIL, Susanna Camusso, aveva esplicitamente richiesto che la FIOM non fosse esclusa dal negoziato di rinnovo del contratto ed in quella occasione i più rigidi a confermare il rifiuto sono stati i due sindacati di settore della CISL e della UIL, cioè afferenti agli stessi confederali che hanno sottoscritto l’Accordo Interconfederale del giugno 2011. Per onestà occorre ricordare che quell’accordo interconfederale del giugno 2012 alla FIOM non piaceva del tutto, ed in sede CGIL aveva preso le distanze per varie ragioni, tra cui la non definizione certa delle regole di rappresentanza. Ex-post, benché quell’accordo fosse un buon accordo e segnasse una ricomposizione delle fratture tra i tre confederali, non si può negare che qualche ragione di fondata preoccupazione Il segretario della FIOM Maurizio Landini l’aveva espressa a ragione, e non a torto, come l’esperienza successiva purtroppo insegna.

Così il primo rinnovo di un contratto nazionale dopo l’Accordo di Produttività segna la prima tappa di un nuovo percorso di democrazia sindacale. Nuovo in quanto si muove nell’ambito di un accordo sistemico sottoscritto tra le parti sociali e vistato dal Governo, senza la firma della CGIL, che regola un nuovo equilibrio tra contrattazione nazionale e contrattazione decentrata, a vantaggio della seconda. Questo accordo dovrebbe segnare la strada lungo la quale si muove la contrattazione nazionale e quindi quella decentrata, e la strada indicata sembra prendere avvio da un ennesimo accordo separato che riduce lo spazio del CCNL, se non ridimensionarlo grandemente. Ciò che veniva realizzato con le deroghe al contratto nazionale, e con quanto previsto dal famoso articolo 8 inserito nella legge finanziaria (legge 148) nell’estate 2011, approvato dal Parlamento su iniziativa del Governo Berlusconi quasi dimissionario, e mai cancellato dal Governo Monti, ora viene sancito dal primo rinnovo del contratto nazionale di lavoro in epoca Accordo di Produttività.

Riferimenti bibliografici

Acocella N., Leoni R. (2009), La riforma della contrattazione: una valutazione e soluzioni innovative. Un ruolo per la politica economica, mimeo, http://pattoproduttivita.unibg.it

Acocella N., Leoni R. (2010), La riforma della contrattazione: redistribuzione perversa o produzione di reddito?, mimeo, nuova versione di Acocella, Leoni (2009).

Antonioli D., Pini P. (2009), Contrattazione e salari: i limiti dell’Accordo Quadro, in Quaderni di Rassegna Sindacale, vol.X, n.2, pp. 151-164.

Antonioli D., Pini P. (2012), Un accordo sulla produttività pieno di nulla (di buono), in Quaderni di Rassegna Sindacale, vol.X, n.4, in corso di pubblicazione.

Federmeccanica, Assistal, FIM-CISL, UILM-UIL (2012), Ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL del 15 ottobre 2009, industria metalmeccanica e della istallazione di impianti, per il triennio 2013-2015, 5 dicembre 2012, Roma.

Pini P (2012), Produttività: un accordo con nulla di buono, Sbilanciamoci.info, 19 novembre 2012 (http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Produttivita-un-accordo-con-nulla-di-buono-15503)

 

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