di Francesca De Sanctis

Dovrebbe essere l’ultima tappa quella di domani al Teatro della Corte di Genova, ma, visto il successo, Serena Dandini non esclude che lo spettacolo da lei scritto e diretto - Ferite a morte. La Spoon River del femminicidio - possa proseguire il suo viaggio per l’Italia. «I risultati hanno superato ogni nostra aspettativa - racconta - Il nostro è uno spettacolo virale. Tanti discorsi e convegni a volte non arrivano alla gente, io speravo di riuscirci invece attraverso la drammaturgia».


Domenica con lei sul palco ci saranno attrici e giornaliste: Germana Pasquero, Francesca D’Aloja, Anna Bonaiuto, Lella Costa, Giorgia Cardaci, Malika Ayane, Angela Baraldi, Ambra Angiolini, Lidia Ravera. Insieme per sensibilizzare l’opinione pubblica alla sottoscrizione della «Convenzione No more! Contro il femminicidio» (si può firmare sul sito: http://convenzioneantiviolenzanomore.blogspot.it/) che chiede fra l’altro al Governo e alle istituzioni italiane di discutere urgentemente le proposte in materia di prevenzione, contrasto e protezione delle donne dalla violenza maschile e la ratifica immediata della Convenzione del Consiglio d’Europa (Istanbul 2011). «Nel nostro Paese - prosegue - c’è un numero altissimo di femminicidi, ma non solo. Perché purtroppo il femminicidio è solo la punta di un iceberg di una situazione che non sempre - per fortuna - porta alla morte, ma che nasconde una quotidiana e continua violenza domestica».

Per prima cosa, dunque, sensibilizzare.

«Certo. Noi vogliamo innanzitutto far conoscere il fenomeno - non c’è neanche un monitoraggio nazionale - e poi incoraggiare certe situazione virtuose, sul territorio, che dovrebbero essere aiutate. Solo nel nostro Paese in 30 anni per contrastare la violenza sulle donne si è speso quanto spendono in un anno tutti i consiglieri della Regione Lazio. Eppure basterebbe mettere in pratica le leggi che abbiamo e ascoltare chi sa fare questo lavoro sul territorio, come i D.i.Re, i centri anti-violenza che ancora non vengono ricevuti da Monti... È un problema enorme e trasversale, che riguarda il Nord e il Sud, i ricchi e i poveri. E naturalmente è una questione culturale».

E aggiungerei politica, soprattutto.

«Certo, è un fatto politico perché noi abbiamo firmato la Convezione di Istanbul ma non l’abbiamo ratificata. Cosa aspettiamo a mettere in pratica quello che si chiede? Il problema è che si parla di cose che non si possono toccare nel nostro Pese, come la famiglia. La maggior parte delle donne ammazzate muore per mano di mariti e fidanzati, ma guai a toccare a la famiglia! La battaglia è questa. E poi, tanto per essere cinici, una donna uccisa costa circa un milione di euro allo Stato, vogliamo almeno risparmiare questo milione di euro?»

 

unita.it

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