di Riccardo Chiari 

Le 105 assemblee organizzate in questi giorni da un capo all’altro della penisola sono una dimostrazione pratica che la campagna «Cambiare si può» potrebbe contribuire alla costituzione di un Quarto Polo. Alternativo «all’agenda Monti ma anche alla agenda Bersani». Pronto a correre in solitaria, nel tentativo di conquistare quel milione e mezzo di voti necessari per superare lo sbarramento del 4% ed essere rappresentato nella nuova legislatura. «Avere un gruppo di parlamentari avrebbe una importanza enorme – sottolinea Lorenzo Guadagnucci, introducendo l’incontro fiorentino – perché darebbe voce a una grande forza sociale e culturale che esiste nel paese.

Una forza che non vuole essere prigioniera di questo vero e proprio incantesimo secondo cui non ci sono alternative alle politiche di austerity, che invece si sono rivelate fallimentari»

Da Firenze emergono però con chiarezza non soltanto le difficoltà pratiche di organizzare, in poco più di un mese, un progetto politico-elettorale. Anche, e soprattutto, le profonde differenze di impostazione fra gli stessi interessati al Quarto Polo. «Ognuno si deve sentire a casa sua in questo progetto – ricorda da un lato Andrea Malpezzi, segretario cittadino di Rifondazione comunista – questo è un tema che non si può eludere». Mentre Paul Ginsborg di Alba, che pure rileva come «la situazione italiana richieda soluzioni radicali, una vera rivoluzione democratica», resta fermo sulla convinzione di una sostanziale inutilità della forma partito così come la conosciamo.
«Secondo me per il comunismo non c’è più speranza – osserva poi in un passaggio del suo intervento – ma penso che con un po’ meno di identità possiamo lavorare insieme. Anche se non possiamo nascondere che, sulle forme, fra di noi ci sono delle differenze di fondo».
L’assemblea fiorentina si chiude così con un sostanziale nulla di fatto. Rinviando all’assemblea romana del 22 dicembre le decisioni finali sui punti programmatici dell’offerta elettorale, e dei criteri per la definizione delle candidature, indipendentemente dall’appartenenza o meno dei possibili eletti a un forza politica organizzata. Intanto si fa il punto degli altri appuntamenti che sono stati organizzati in questi giorni: «Comprese quelle di domani le assemblee sono state 105 – tira le somme Massimo Torelli – con una media di 150, 200 partecipanti: dai 60 di Iesi, passando per i 200 di oggi e Firenze e i 250 di Padova. Agli oltre 500 di Roma, dove con Sandro Medici, candidato arancione alla sfida al Campidoglio, si sono ritrovati i rappresentanti di movimenti e lotte sociali, dai precari ai sindacati, esponenti della Cgil e di base, Teatro Valle, dipendenti comunali in lotta, gli attivisti dei diritti del Mario Mieli, delle nuove e vecchie occupazioni romane, fino ai ‘Pirati’. 56 interventi, un record per una riunione cittadina.
Nel complesso i risultati sono positivi: 15mila persone si sono mostrate, nella pratica, interessate alla campagna Cambiare si può. Anche se resta aperta la questione se questa debba essere un lista di cittadinanza che abbia come protagonisti ‘visibili’ personaggi attivi politicamente, oppure una lista di associazioni e partiti». Lo scoglio più grosso rimane la ristrettezza dei tempi. «Abbiamo pochi giorni per decidere programma, simbolo e candidati – ricorda Guadagnucci – dobbiamo fare un cosa che non si era mai vista». Tanto che c’è chi, come Anna Picciolini di Alba, femminista e comunista, non nasconde pubblicamente il timore di non riuscire nell’impresa di avere entro la fine dell’anno un nome e un simbolo per il Quarto Polo. Più ottimista Torelli, che non giudica insormontabili i problemi logistici legati alla raccolta delle firme. A patto che tutte le realtà interessate alla creazione del Quarto Polo, dal movimento arancione di Luigi De Magistris a Rifondazione comunista fino ad Antonio Di Pietro, si muovano unitariamente.
Certo è che l’assemblea del 22 dicembre a Roma dovrà sciogliere molti nodi. Anche di fronte alla prima bozza di decalogo programmatico, la giovanissima Diletta Gasparo, giovane comunista, interviene per osservare: «In questi dieci punti non viene presa in considerazione la questione giovanile, né si parla di scuola». C’è ancora strada da fare.

 

il manifesto 16.12.2012

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