di Bruno Moretto

Il 24 e il 25 febbraio in tutta Italia si svolgeranno le elezioni per il rinnovo delle camere e, in concomitanza, le elezioni per il rinnovo di alcuni consigli regionali e comunali. A Bologna invece non si può: il sindaco Viginio Merola non intende far svolgere il referendum consultivo che chiede ai cittadini di esprimersi sull'uso del milione di euro con i quali ogni anno il comune finanzia il funzionamento delle scuole materne paritarie private.
Il quesito, che è stato approvato il 23 luglio dal comitato dei garanti eletto dal consiglio comunale, così recita: «Quale, fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie comunali che

vengono erogate secondo il vigente sistema delle convenzioni con le scuole d'infanzia paritarie a gestione privata, ritieni più idonea per assicurare il diritto all'istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alla scuola dell'infanzia? A) utilizzarle per le scuole comunali e statali; B) utilizzarle per le scuole paritarie private».
È un referendum di indirizzo che intende dare ai cittadini la possibilità di orientare le politiche scolastiche, che negli ultimi anni, sia a livello nazionale che locale, hanno visto prevalere posizioni liberiste che considerano la scuola solo un costo e l'istruzione una merce.
Il referendum è stato promosso nel momento in cui si è venuti a conoscenza che, nella città, che per prima in Italia ha istituito la scuola dell'infanzia e il tempo pieno, ben quattrocento bambini erano rimasti esclusi dalle scuole d'infanzia comunali o statali, che sono gratuite.
Oltretutto la giunta comunale intendeva azzerare la lista d'attesa usando i posti disponibili nelle scuole private convenzionate, per la gran parte di orientamento cattolico e con rette, a differenza di quelle pubbliche gratuite, che vanno dai 200 ai 1000 euro al mese. Centinaia di bambini bolognesi dai 3 ai 6 anni non hanno potuto frequentare questo anno la scuola d'infanzia e sono stati a casa o sono stati costretti ad accedere a strutture private.
Il Comitato art. 33, formato da quattrocento cittadini, è stato promosso dai genitori dei bambini esclusi e da 15 associazioni della scuola e per la laicità e infine da diverse sigle sindacali (Flcgil, Fiom, Usb, Cobas, Cub).
La raccolta delle firme, iniziata a settembre, è stata una esperienza entusiasmante, il supporto dei cittadini bolognesi è stato fortissimo, nonostante le numerose iniziative del Pd, del Pdl, delle scuole private e di molte parrocchie, che hanno invitato apertamente a non firmare. Il 5 dicembre sono state consegnate al comune ben 13.500 firme; ne sono state riconosciute valide 12.838 (quasi 4mila in più del necessario), e che corrispondono a più del 4 per cento degli elettori bolognesi.
Lo statuto del comune prevede che una volta consegnate almeno 9mila firme il sindaco indica il referendum. Sono invece iniziate manovre dilatorie e diversive. Il sindaco ha prima sollevato problemi di bilancio relativi ai costi del referendum, poi il segretario comunale ha interpretato in modo restrittivo lo statuto onde impedire che il referendum venga indetto in concomitanza con le elezioni nazionali. Numerose sono state le dichiarazioni di esponenti del Pd, della Cisl, del Pdl tese a rinviare sine die la consultazione popolare.
Il Comitato ha allora diffidato il sindaco a indire il referendum entro il 7 gennaio e a indicare come data quella del 24 e 25 febbraio, allegando una memoria in tal senso di due autorevoli giuristi, i Andrea Morrone e Maria Virgilio. Il sindaco, che si è rifiutato finora di ricevere il comitato promotore, ha annunciato a un quotidiano che farà una dichiarazione sul referendum durante il consiglio comunale di domani 7 gennaio.
Vedremo cosa dirà. Resta la convinzione del comitato promotore che semplici ragioni di risparmio sia per le casse comunali che per i cittadini inducano all'accorpamento nel medesimo giorno delle due consultazioni. Resta il dubbio che molti vogliano che questo referendum non si faccia mai perché sarebbe scandaloso verificare che la maggioranza dei cittadini bolognesi è contraria alla politica sulla scuola della giunta di centro sinistra.
Noi comunque non molleremo e difenderemo fino in fondo il diritto costituzionale dei cittadini di esprimersi direttamente sul futuro della nostra scuola pubblica.

da il manifesto

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