di Irene Camuffo

«Siamo minatori non terroristi». Il giorno dopo le violente cariche della polizia di Madrid, i feriti e gli arresti, i minatori in lotta esprimono rabbia ma anche la determinazione a continuare la lotta. «Una lotta - dicono - che non riguarda soltanto i minatori. Il governo infatti ha sferrato forse il suo attacco più duro ai diritti dei lavoratori». Il riferimento è alle misure di austerità annunciate dal presidente Rajoy mercoledì che sono «un'aggressione inaudita ai lavoratori», come sottolinea Ignacio Fernandez Toxo, segretario generale di Comisiones Obreras.
Un'aggressione che giovedì è stata anche fisica.

La «marcia nera» si è conclusa infatti con la polizia a caricare indiscriminatamente minatori, sostenitori, semplici passanti. Numerosi i feriti, anche per colpa delle micidiali pallottole di gomma abbondantemente utilizzate dalla polizia spagnola (al posto dei lacrimogeni, spesso): diciotto gli arresti. E ancora, nella notte di mercoledì, la polizia ha caricato le centinaia di manifestanti che si erano riuniti alla Puerta del Sol. «Quello che è accaduto mercoledì - dice Miguel, minatore delle Asturias - è incredibile. Questo governo deve capire che i lavoratori non sono i nemici: noi siamo il motore di un paese». Il governo non sembra ascoltare. Ieri il ministro dell'industria José Manuel Soria ha ribadito che «non ci sarà alcuna revisione dei tagli previsti per il settore minerario». «È una dichiarazione di guerra - commenta Miguel - alla quale noi risponderemo con manifestazioni e proteste. Perché non siamo d'accordo sul fatto che non ci siano alternative alla condanna a morte delle miniere».
Ieri intanto è stata una giornata emotivamente molto forte, non solo per le ripercussioni delle cariche della polizia contro la manifestazione di Madrid ma anche perché sette minatori sono usciti dal pozzo che occupavano da 52 giorni. I sette si erano calati nel pozzo di Santa Cruz del Sil, nella regione di Leon, ma ieri i medici li hanno convinti a uscire. I sette sono stati rimpiazzati da altri cinque compagni che sono scesi a tre chilometri di profondità sostenuti da minatori, famigliari e cittadini.
Uscendo dal pozzo con spessi occhiali neri (i minatori non potranno esporre gli occhi alla luce del sole per qualche giorno), José e Alfredo, due dei lavoratori in lotta hanno detto di essere «un po' tristi perché non abbiamo ancora ottenuto che il governo faccia un passo indietro». I minatori hanno comunque confermato che «la lotta continua».
Il sindacato ha annunciato manifestazioni contro i tagli per il 19 luglio, ma già ieri centinaia di lavoratori del pubblico impiego hanno inscenato in molte città manifestazioni spontanee. Manifestazioni di solidarietà con le persone arrestate a Madrid, che ieri sono comparse in tribunale, si sono svolte ieri e sono in programma per i prossimi giorni, sia nella capitale che a Barcellona e nelle regioni delle miniere. La settimana del 21 luglio invece sarà una settimana tutta dedicata a nuove manifestazioni e azioni dei minatori nelle varie regioni.
Fernando, che ha partecipato ai venti giorni di marcia verso la capitale spagnola racconta che «sono state tre settimane molto intense. Noi - dice - siamo partiti dalle Asturias. Lungo la strada, in ogni paese, abbiamo incontrato centinaia di persone solidali, che ci hanno accolto e incoraggiato ad andare avanti. Perché questa lotta non è solo dei minatori. È una lotta per la dignità di tutti i lavoratori». Fernando, casco in testa con la luce ora spenta, aggiunge che «da oggi per noi si apre un nuovo capitolo. Dopo le botte di ieri - dice - non ci fermeremo».
Oggi le miniere dello stato spagnolo producono 8 milioni e mezzo di tonnellate di carbone e ne importano tra le 16 e le 20 tonnellate. Il tema della riconversione delle miniere non è nuovo, ma finora è stato affrontato in maniera solo teorica. In pratica si è assistito nel declino (leggi tagli) del settore. Se nel 1985 in Spagna c'erano 52.910 minatori, oggi ce ne sono 7.900. E se i minatori stessi (che certo non stanno lottando per conservare il posto di lavoro perché "sano e privilegiato" ma perché unica fonte di guadagno in molte regioni) sono consapevoli che la riconversione è inevitabile, ma sanno anche che il processo va accompagnato per garantire i lavoratori. Non si può certo pensare - come sta facendo il governo Rajoy - di chiudere le miniere dall'oggi al domani, lasciando a casa migliaia di persone in regioni dove la disoccupazione è in aumento ormai da decenni.

 

da il manifesto

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