di Loris Campetti

Dopo 73 anni di vita la più grande fabbrica di automobili d'Italia è arrivata al capolinea. Dopo aver annunciato la cassa integrazione a Pomigliano dove si costruisce l'unico modello nuovo della Fiat, Marchionne sta facendo cadere la mannaia su Mirafiori dove i 2.600 lavoratori della penultima linea in produzione, quella che sforna la Lancia Musa e la Idea, rientreranno in officina due giorni la prossima settimana, forse qualche mezza giornata a settembre e poi saranno rimandati a casa per un anno e mezzo almeno, in cassa integrazione a zero ore con la promessa di costruire, mercato permettendo, un piccolo Suv destinato agli Stati uniti tra fine 2013 e inizio 2014.

Resta la produzione della Mito, i cui operai, tanti quanti sono gli occupati nella linea in chiusura, vestono la tuta blu tra i 7 e i 10 giorni al mese e gli altri restano in cassa integrazione. Ma tra un anno e mezzo cosa resterà della Fiat?
La decantata Fabbrica Italia di Marchionne non vende più automobili perché non ha modelli che reggano la domanda dei mercati e tutti gli investimenti sono stati sospesi, dei 20 miliardi promessi in Italia la Fiat ne ha investito solo 1, a Pomigliano. Invece di 1 milione 600 mila macchine nel 2012 se ne venderanno, al massimo 450 mila. Invece dei 4 stabilimenti sopravvissuti alla cura Marchionne, ai numeri attuali, ne sarebbe sufficiente uno solo. L'amministratore delegato del Lingotto guarda all'America e scarica l'Italia e l'Europa. Tanto da noi - mica siamo in Francia, dove il presidente Hollande ha convocato i vertici della Peugeot lo stesso giorno in cui sono stati annunciati 8 mila licenziamenti - nessun governo interviene sul fatto che rischia di sparire l'intero comparto automobilistico nazionale dove lavorano, tra diretti e indiretti, qualche centinaia di migliaia di persone.
Formalmente la notizia diffusa ieri dalla Fiom non rappresenta che l'anticipo della fine corsa di due modelli «stagionati» come Idea e Musa. Nella sostanza, essendo stati tolti a Mirafiori i monovolumi trasferiti in Serbia, la chiusura di una linea rischia di rappresentare l'avvio della chiusura su tutta la linea. «E' la fine di Fabbrica Italia - ci dice Maurizio Landini, segretario generale della Fiom - e ora che Marchionne ha messo tutte le carte in tavola il presidente del consiglio deve aprire un tavolo sull'auto e sui trasporti, senza escludere l'apertura all'ingresso di costruttori diversi dalla Fiat, anche stranieri».
Con la formalizzazione della crisi di Mirafiori non può non riaprirsi la polemica sulla subalternità degli altri sindacati che, rompendo l'unità, hanno sottoscritto tutti i diktat di Marchione. Landini commenta così: «Sarebbe il caso che Fim e Uilm, che hanno sottoscritto tutti gli accordi peggiorativi delle condizioni materiali dei lavoratori si rendessero conto che cedere ai ricatti padronali non è servito a niente, se non a consentire la cancellazione dei diritti di chi lavora e a spaccare sindacati e operai».
È paradossale che l'implosione della Fiat avvenga contestualmente all'attacco ai diritti dei lavoratori. Altro che cancellare il diritto alla mensa e imporre straordinari su straordinari, altro che combattere l'assenteismo non pagando i primi tre giorni di ferie, altro che defiommizzare la Fiat: di lavoro, in tempi brevissimi, rischia di non essercene più per nessuno.
È o non è un problema del governo, questo, è o non è un problema della politica e, in particolare, della sinistra? Non ha nulla da dire il sindaco di Torino, il dirigente del Pd Piero Fassino che al tempo del referendum truffa di Marchionne esordì con una frase diventata famosa: «Se fossi un operaio voterei sì»? La Fiat rappresenta la punta dell'iceberg della crisi, del disinvestimento industriale e di una filosofia antioperaia e antisindacale che sta espandendosi a macchia d'olio. Anche la Federmeccanica, di fronte al nodo del rinnovo del contratto di categoria, si comporta esattamente come Marchionne.

 

da il manifesto

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