di Dino Greco

Guglielmo Epifani si è prodigato su l'Unità per spiegare quanti danni provocherebbe il referendum che intende abrogare le leggi che cancellano l'articolo 18 dal giuslavorismo moderno e minano alla radice il contratto nazionale di lavoro.

Nella chiusa dell'articolo, l'ex segretario della Cgil boccia senza mezzi termini le forze politiche e sociali che qualche giorno fa hanno depositato i quesiti: “Chi ha promosso i referendum – ha tuonato – non aiuta l'unità dei lavoratori né la speranza nel cambiamento”.

Ora, confessiamo che è forte la tentazione di liquidare con una battuta sarcastica questa invero bizzarra conclusione. Terremo invece a freno l'impulso per addentrarci nelle argomentazioni di colui che guidò per una non breve stagione il più grande sindacato italiano.

La prima delle quali è una vera intemerata: i temi posti dal referendum si collocherebbero per Epifani “troppo al di sotto del profilo di cambiamento che bisogna tenere”. In altri termini, per Epifani c'è ben altro da fare. Cosa? Il lavoro, l'occupazione, la crescita. E poi ancora: la politica industriale, la competizione internazionale e via elencando. Difficile capire, soprattutto da un ex sindacalista di lunga esperienza, come non si colga il nesso piuttosto stringente fra le fondamentali tutele individuali e collettive, fra il carattere inderogabile del contratto di lavoro, entrambi frutto di straordinarie stagioni di lotta sindacale e politica che hanno segnato di sé una fase di progresso sociale e civile per l'intero paese, e la costruzione di un progetto di sviluppo fondato su una crescita sana, socialmente orientata, produttrice di lavoro pulito e dignitoso. E di democrazia. Difficile immaginare, cioè, che milioni di lavoratori e di lavoratrici che prestano la loro opera sotto il giogo della paura, del ricatto del licenziamento senza giusta causa e di estese pratiche derogatorie che invalidano la contrattazione collettiva, possano poi influenzare positivamente lo sviluppo di una politica economica capace di rovesciare il mantra liberista che affida al mercato e alle sole virtù dei privati la resurrezione del paese. A meno che non si pensi che in fondo va bene così e che passi sostanziali al di là di Monti non se ne potranno né se ne vorranno fare. Ma Epifani fa mostra di pensare che “le elezioni possono portare al governo un'altra coalizione capace di intervenire sulle norme o su una parte di esse oggetto dei referendum”. In altre parole, per Epifani, un futuro governo imperniato sul Pd e financo alleato con l'Udc, sarebbe pronto a ripristinare l'architrave dello Statuto dei lavoratori cancellato da Elsa Fornero con il voto dei Democrats, con il plauso entusiastico di Anna Finocchiaro che ne ha decantato le virtù in parlamento e con il placet di Susanna Camusso che ha abbozzato, fingendo di credere che il colpo di rasoio fosse niente più che un buffetto. In realtà, come sanno anche i sassi, il Pd ritiene quel tema chiuso. E l'ostilità verso i referendum non ha a che vedere con capziose questioni di metodo e di opportunità, ma di sostanza: la legge Fornero non è stata subita, bensì rivendicata dal Pd, malgrado qualche isolato, tiepido e bastonatissimo caso di dissenso interno.

A questo punto, resosi probabilmente conto della non eccelsa forza delle controindicazioni addotte, Epifani ha estratto dal cilindro l'altro argomento, quello per cui si voterà per il referendum molto in là, solo nel 2014, mentre “è solo in parlamento ch si possono modificare quelle parti della legge che, come anche le imprese lamentano, mostra di non reggere la prova dei processi reali...”. Ora, a parte che c'è da rabbrividire all'idea che un eventuale ritocco della legge possa avvenire sotto l'ispirazione del sistema delle imprese, resta il fatto – incontrovertibile – che proprio l'appuntamento referendario può rappresentare un freno, se non l'inibizione, degli istinti antioperai e filopadronali che godono di ottimo ascolto nel centrosinistra non meno che nel centrodestra. Infine, sentenzia Epifani, il referendum divide i lavoratori. Noi invece, all'opposto, crediamo che li unisca, perchè parla a loro, a tutti e a tutte loro, di una dignità da riscattare, del senso e del valore del lavoro, così duramente avvilito da decenni in cui si è inculcata la tesi che contano solo le ragioni dell'impresa e di una competitività estorta attraverso lo sfruttamento e la revoca di ogni diritto.

Si risparmi, Epifani, la litania sui referendum persi, sui quorum non raggiunti. Se ne sono anche vinti. E pure quelli persi hanno rappresentato battaglie che era giusto ingaggiare. Quelli più recenti, poi, hanno aperto una stagione nuova. E sono una semina che non è andata dispersa. In ogni caso, il referendum rappresenta un terreno utile – sebbene non il solo, giacché servirebbe una mobilitazione sindacale invece del tutto latitante – su cui rilanciare una vera dialettica politica, liberata dalla miseria dei finti antagonismi, delle finte contrapposizioni, dei leaderismi campati sul nulla, dei litigi per la conquista di un potere ormai imbalsamato dentro ferree logiche omologanti.

 

P.s.: Di passaggio informiamo Epifani che Rifondazione comunista proporrà un altro quesito referendario: quello che chiede di abrogare la riforma che ha cancellato le pensioni di anzianità. A suo tempo la Cgil ritenne questo atto un insopportabile vulnus per gli occupati e un attentato al diritto al lavoro dei giovani....

 

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