di Stefano Galieni
Oggi è il giorno fatidico, quello atteso da centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici migranti. Per come sono state enfatizzate dal governo, saranno in molti a potersi sottrarre a condizioni di sfruttamento. Saranno i loro datori di lavoro in nero che, mediante una richiesta via internet, potranno assumere persone che già lavoravano, da almeno tre mesi per loro. Apparentemente un provvedimento positivo, in realtà tanti i limiti che lo fanno apparire come l’ennesimo stratagemma per fare cassa sulla pelle degli immigrati. Per ogni lavoratore regolarizzato va versata una cifra forfetaria di 1000 euro a cui vanno sommati i contributi di almeno sei mesi di contributi relativi al pregresso lavoro.
Chi pagherà queste cifre? I munifici datori di lavoro o come al solito chi finora è stato sfruttato? Alcuni punti del meccanismo che entra in vigore sono ancora oscuri ma ad esempio è già chiaro che non potranno essere assunte persone che hanno avuto denunce o provvedimenti di espulsione né chi è entrato in Italia dopo il 31 dicembre 2011. Meccanismo kafkiano, per poter dimostrare di essere entrati in Italia “irregolarmente” da prima del 31 dicembre 2011 è necessario che ad attestarlo sia una istituzione pubblica. Quindi chi è stato fermato dalla polizia o ha avuto un ricovero ospedaliero potrà provarci, gli altri sono esclusi. Non è ancora chiaro se la certificazione di una ambasciata possa ad esempio avere valore legale. Questa condizione, che è posta (sic) per sconsigliare nuovi arrivi, è definita “prova di presenza” per essere il frutto di un governo di “tecnici” suona vagamente cialtrona.
Il meccanismo, come per le precedenti sanatorie, offre spazi per numerosi tipi di truffe ed è evidente che l’esborso spetterà ai lavoratori, ma anche se capita di ritrovarsi con un datore di lavoro corretto i problemi non si interrompono. I datori possono essere famiglie (per il lavoro domestico), oppure ditte (per qualunque tipo di impiego subordinato), e il rapporto di lavoro può essere a tempo indeterminato o determinato. Non è ammesso invece il part-time, e solo per i domestici è possibile un’assunzione per un minimo di 20 ore settimanali. Possono accedere alla procedura anche i datori stranieri, purché abbiano la cosiddetta “carta di soggiorno” (va bene sia la carta plastificata dei lungo-soggiornanti, sia il documento cartaceo dei famigliari di cittadini europei). Ma solo i datori di lavoro agiati avranno diritto di far richiesta per assunzione, non solo per gli alti costi già elencati ma anche perché si richiede loro un reddito elevato. Per le ditte, reddito o fatturato deve superare i 30 mila euro annui, per chi assume per lavoro domestico si scende a 20 mila se in famiglia c’è una sola persona e in 27 mila se è composto da più soggetti conviventi”. Per fare un esempio semplice, prendiamo una famiglia con moglie, marito e due figli. Se lavora solo il marito, la famiglia può fare domanda se il reddito è di almeno 20.000 euro l’anno. Se lavora anche la moglie la cifra sale a 27.000 euro (ma in questo caso si somma il Cud della moglie con quello del marito). Non serve il reddito se il datore è “affetto da patologie o handicap che ne limitano l’autosufficienza”.
In questo caso, serve naturalmente idonea certificazione medica. Sono esclusi i datori di lavoro condannati precedentemente per alcuni tipi di reato e coloro che nelle precedenti sanatorie abbiano presentato domanda ma poi non si siano recati in prefettura per la firma del contratto di soggiorno.
Ovviamente i datori di lavoro, in realtà i lavoratori, pagano anticipatamente, ma saranno poi le prefetture, caso per caso a decidere se accettare o meno la richiesta. In caso di risposta negativa, i 1000 euro non vengono restituiti, chiamasi estorsione. In conclusione un consiglio e una riflessione. In attesa di chiarimenti da parte del ministero competente conviene non precipitarsi a presentare le domande, magari chiedendo consulenza ad associazioni di protezione sociale e sindacati e non affidandosi al mercato spesso truffaldino delle agenzie private. Ma il punto politico è un altro, i lavoratori e le lavoratrici migranti sono trattati anche dai tecnici come oggetti e non come “soggetti” con cui relazionarsi, a poco valgono gli inasprimenti delle pene per chi è accusato di riduzione in schiavitù e i permessi di soggiorno temporanei e per motivi di giustizia per chi denuncia di essere sottoposto a sfruttamento. No, per il signor Monti e i suoi colleghi le centinaia di migliaia di persone che aspirano ad una vita alla luce del sole sono solo limoni da spremere, il lavoro e i lavoratori sono solo merce da cui trarre profitto.