Roberta Fantozzi (21 ottobre 2011)
Piazza del Popolo oggi è la piazza della democrazia, della ripresa di parola delle lavoratrici e dei lavoratori, delle realtà sociali, del movimento.
E' lo spazio pubblico che è stato sottratto al corteo del 15 ottobre dalla violenza degli scontri e che Maroni e Alemanno volevano e vorrebbero sequestrare permanentemente alla libera espressione del conflitto sociale e alla partecipazione democratica.
Sarà nuovamente visibile oggi il nesso strettissimo che lega i diritti del lavoro e la democrazia, la domanda del cambiamento da costruire, per non subire la vera e propria regressione di civiltà incorporata nel modello Marchionne, nelle politiche del governo, nelle ricette della Bce.
Sarà oggi visibile, non solo la domanda di lavoro e di diritti che le lavoratrici e i lavoratori della Fiat e di Fincantieri, impegnati da tempo in vertenze pesantissime, portano in quella piazza, ma la necessità e la possibilità di costruire un diverso modello di sviluppo, e l'obiettivo per questo urgente più che mai, di mettere in connessione le lotte e i movimenti. Di costruire un progetto e una possibilità per un'alternativa.
La ricetta di Marchionne è nota e va avanti. E' una ricetta su cui convergono i diversi spiriti del capitalismo italiano. La lotta delle diverse fazioni, resa esplicita dalle prime pagine del Corriere, le prese di posizione dei vari Bombassei, Giavazzi, Marcegaglia, le evidenti relazioni con le diverse ipotesi di ristrutturazione del quadro politico, non mutano l'obiettivo di fondo: quello di cancellare una volta per tutte il contratto nazionale e i diritti del lavoro. Quello di ridurre le lavoratrici e i lavoratori a pura merce in competizione, stabilimento contro stabilimento, lavoratore contro lavoratore, disposti ad ingoiare condizioni sempre peggiori, il comando assoluto dell'impresa su ogni aspetto del rapporto di lavoro, sulla vita intera. Un modello tradotto in legge dall'inaudità gravità dell'articolo 8. Un dispositivo micidiale che porta con sé la precarizzazione integrale dei rapporti di lavoro, la possibilità di derogare a livello aziendale e territoriale per qualsiasi motivo e in qualsiasi luogo tanto dal contratto nazionale, quanto dalla legislazione a tutela del lavoro, a partire dall'articolo 18. Marchionne ringrazia chi gli ha concesso tanto, chi non gli chiede conto nemmeno ora. Ora che è chiaro il gigantesco bluff di Fabbrica Italia, ora che la Fiat chiude la Cnh, la Irisbus e Termini Imerese e promette altre ristrutturazioni.
E che dire della vicenda Fincantieri, dove la lotta dei lavoratori ha imposto a giugno il ritiro di un piano industriale che preludeva alla dismissione dell'intero comparto della cantieristica e dove ora si tenta, stabilimento per stabilimento, di riproporre quel medesimo piano, senza uno straccio di politica industriale? Tanto più grave in un'azienda che è una delle ultime aziende pubbliche di questo paese.
Lo sciopero e la manifestazione della Fiom di oggi sono in primo luogo la lotta per pretendere risposte dalla Fiat e da Fincantieri, sono la lotta contro l'articolo 8 e per la riconquista del contratto nazionale senza deroghe, per il voto vincolante delle lavoratrici e dei lavoratori sulle piattaforme e sugli accordi.
Ma la piazza di oggi è anche la piazza che può riprendere a tessere il filo del rapporto tra i diversi soggetti e le diverse lotte, la ricchezza che c'è nei movimenti.
Per dire che la lettera della Bce va rispedita al mittente con il suo carico di aggressione ai diritti del lavoro, al welfare, ai beni comuni. E che colpire la speculazioni si può se si vuole: imponendo alla Bce di comprare direttamente i titoli degli stati, tassando le transazioni finanziarie, proibendo le vendite allo scoperto.
Per dire che ci vogliono politiche industriali pubbliche a partire da un piano per la mobilità sostenibile, che trasferisca il trasporto merci sulle autostrade del mare, promuova il trasporto pubblico nelle città e la produzione di auto non inquinanti. E che questo dovrebbe essere l'obiettivo per difendere assieme il lavoro, l'ambiente, il futuro. E che anche le risorse ci sarebbero, se non si continuasse a sostenere scelte folli come la Torino-Lione o il Ponte sullo Stretto, o gli F35 e i loro costi sociali, economici e ambientali insostenibili. Per dire che è incivile un paese in cui l'1% degli italiani ricchissimi possiede lo stesso patrimonio del 60% della popolazione, e che ci vuole una patrimoniale non per pagare il debito, ma per diminuire le tasse su salari e pensioni e per il reddito sociale. Per dire che faremo il referendum per abrogare l'articolo 8, contro il Collegato Lavoro e la legge 30.
La piazza di oggi riprende la parola. Sta a tutti noi sostenere le lotte per il diritto al lavoro e i diritti del lavoro. Sta a tutti noi adoperarsi perché si radichi nei territori un movimento antiliberista duraturo, che faccia della democrazia la sua pratica e il suo obiettivo. Che insieme ai milioni di persone che in tutto il mondo stanno capendo e si stanno organizzando, faccia crescere la partecipazione e le lotte e costruisca un'alternativa.