Intervista a Landini di Daniela Preziosi -
Segretario Landini, partiamo da un dato: secondo gli istituti di ricerca il centrosinistra è al terzo posto nel voto operaio, dopo M5S e persino dopo il Pdl. In alcuni quartieri operai di Torino Grillo ha fatto il pieno. Come interpreta questo dato?
È una conferma che quello di febbraio è stato innanzitutto un voto contro le politiche del governo Monti. Un voto che chiede un cambiamento. Già a giugno la Fiom aveva organizzato un incontro con tutti i segretari del centrosinistra, e non solo. In quella sede dicemmo: c’è un vuoto, in questi anni il lavoro non è stato rappresentato. C’è bisogno di chi difenda i diritti di chi lavora e dei giovani che cercano lavoro. Perché il voto di cui si parla non l’hanno dato solo gli operai ma anche i giovani, i precari, le partite Iva. 

Una domanda di cambiamento interpretata da Grillo. Ma Grillo è lontano dalle posizioni dei sindacati, per usare un eufemismo: ne ha dichiarato esaurito il ruolo.
Non c’era bisogno di Grillo per prendere atto di una crisi della rappresentanza politica e anche di quella sindacale. Il problema non è correre dietro Grillo. Il punto è che i sindacati, in questo caso parlo per la Fiom e la Cgil, debbono ritrovarsi. Cioè democratizzarsi. Un lavoratore dipendente può votare alle elezioni, alle primarie se vuole, ai referendum, per il sindaco, per il presidente di regione. L’unico posto in cui non ha diritto di votare è in fabbrica: lì non può eleggere i suoi delegati. Per Fiat e Federmeccanica chi non è d’accordo non ha diritto di esistere. Così però anche sui contratti: nella maggioranza dei luoghi di lavoro la democrazia non c’è e i sindacati non garantiscono né sono portatori di questa domanda. E vista la tendenza delle imprese a rendere aziendali i rapporti, alla lunga, il rischio è che salti il sindacato. A questa crisi della rappresentanza il sindacato non può rispondere ‘io non c’entro’. Poi c’è il rinnovamento delle politiche sindacali: da tempo penso che ci debba essere da un lato l’universalizzazione degli ammortizzatori sociali: la cassa integrazione e le forme di tutela dalla disoccupazione debbono essere estese a tutti; oggi così non è per esempio nelle aziende artigiane, del commercio, per tanti precari. Dall’altra bisogna introdurre forme di reddito di cittadinanza sia per garantire il diritto allo studio sia per tutelare chi perde il lavoro o ha finito gli ammortizzatori e lo sta cercando. Un altro dramma sociale che già c’è: ci sono centinaia di migliaia di precari che non hanno tutele e milioni di persone sta per scadere la cassa, o la cassa in deroga.

M5S propone il reddito minimo al posto della cassa integrazione.
Non sanno di quello di cui parlano. Come avviene in Europa, il reddito di cittadinanza deve essere sostenuto dalla fiscalità generale. Ma la cassa integrazione, e questo in troppi non lo sanno, non è pagata dai soldi pubblici, ma da quelli dei lavoratori e delle imprese. Per estenderla è sufficiente che i lavoratori e le imprese che non ce l’hanno paghino un contributo per averla. È un’idea di riforma in senso europeo.
Serve una riforma degli ammortizzatori sociali. A maggio iniziano a scadere la cassa integrazione. Tutto questo rende necessario un governo in carica?
Qualsiasi persona di buon senso, per la crisi che c’è in questo paese, con il rischio che il sistema industriale salti – non c’è giorno che un’impresa non dichiari esuberi, di chiudere o di trasferirsi – sente la necessità di un governo che governi. Bisogna bloccare i licenziamenti, ridurre l’orario, fare politiche industriali che riguardano la Finmeccanica, la Fiat la siderurgia, la piccola e media impresa. Ma non mi voglio sostituire né al parlamento né alle istituzioni cui spetta questa discussione. Ognuno si assumerà le sue responsabilità di fronte al paese.

Sta dicendo che è preferibile non tornare al voto? M5S dice che non appoggerà il governo Bersani. Tira aria di un nuovo governo tecnico, o di larghe intese.
No, sto dicendo che c’è bisogno di un governo che cambi le politiche che fatte da Berlusconi e Monti. Non sta a me decidere se è meglio tornare o no al voto. Il paese ha problemi enormi, bisogna trovare le soluzioni. I governi tecnici non esistono, lo ha dimostrato Monti. Ci vuole un governo che cambi. Un governo per continuare la linea Monti sarebbe un danno per l’Italia e per i lavoratori. Il 30 per cento degli italiani non è andato a votare. Sommato al resto, siamo di fronte al fatto che la maggioranza del paese reale non si riconosce nelle classiche rappresentanze politiche. È un segnale di cambiamento epocale per tutti. Noi della Fiom in queste ore stiamo scrivendo a tutti gli eletti per indicare quelle che secondo noi sono le priorità del mondo del lavoro.

Quali sono?
Lo dicevo prima: cancellare le leggi che hanno aumentato la precarietà, cancellare l’art.8 della legge Sacconi, una legge sulla rappresentanza, politiche industriali, incentivi alla riduzione dell’orario di lavoro, blocco dei licenziamenti.

Quello che lei dice è negli 8 punti di programma del governo ‘di combattimento’ di Bersani? Riformulo la domanda: il programma Bersani per lei rappresenta un inizio?
Noto che non c’è nulla sulle leggi sul lavoro, non c’è l’impegno su una legge sulla rappresentanza, né contro l’art. 8, non si dice nulla sulla riforma Fornero, né il blocco dei licenziamenti. Senza un piano straordinario di investimenti pubblici e privati non si creano posti di lavoro, trovando le risorse con una patrimoniale. Ragionamenti di questa natura vanno affrontati immediatamente.

Il centrosinistra per i sindacati rappresenta sempre la tentazione del ‘governo amico’. Oggi c’è questo rischio nella Cgil?
La scarsa autonomia in questi anni è stato uno dei problemi di tutti i sindacati. Il sindacato non dev’essere di governo o di opposizione. Dev’essere un soggetto democratico, perché costruisce le sue proposte con i lavoratori. E autonomo, che giudica un governo per quello che fa. È anche questo il cambiamento di cui parlo.

Se lei non fosse il segretario Fiom firmerebbe l’appello ‘facciamolo’ della sinistra per chiedere a Grillo di votare il governo Bersani?
Sono il segretario generale della Fiom. Non ho dato né indicazioni di voto né fatto scelte che potevano mettere in discussione il mio ruolo. Finché lo sono, continuerò così.

Ha intenzione di correre per la segreteria confederale della Cgil?
Ho intenzione di ricandidarmi a fare il segretario della Fiom, se mi eleggerano. Penso che nella Cgil ci sia bisogno di una discussione strategica vera e democratica. E da segretario Fiom ho intenzione di dare un contributo a questa discussione nella Cgil. Che deve darsi strumenti, anche innovativi, per far partecipare realmente gli iscritti alle decisioni. Il congresso, tanto più oggi, non deve essere un’occasione semplicemente burocratica. E il problema non è solo come si sceglie il segretario.

Il Manifesto – 14.03.13

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