di Claudio Gnesutta -
Mario Draghi continua con la sua politica – denaro facile alle banche e tagli di spesa – che fa cadere la domanda e restringe il credito alle imprese. Si tratta di un errore economico e di un pericolo politico (…). Il governatore ribadisce che non vi è spazio per alcuna alternativa all’attuale coordinamento tra politica monetaria e politica fiscale. A una gestione della politica monetaria non restrittiva (i tassi d’interesse sono mantenuti a livelli bassi) si associa un severo patto fiscale la cui logica è di contenere la spesa per consumi, soprattutto di quelli pubblici, con l’effetto di breve periodo di ampliare lo spazio per i risparmi e quello di più lungo periodo di contenere il peso (interpretato come inefficienza) dello Stato.
La politica monetaria più accondiscendente dovrebbe quindi garantire condizioni di credito più favorevoli per l’investimento privato la cui crescita, assieme al funzionamento più flessibile del mercato del lavoro, sarebbe il volano che assicura l’espansione produttiva, del reddito e dell’occupazione. Ma perché le cose non vanno come i nostri governanti ritengono che dovrebbero andare? (…) La possibilità che le difficoltà risiedano nello stesso schema logico dell’austerità non sembra venga nemmeno presa in considerazione. (…).La crisi ha, da un lato, indotto politiche monetarie che hanno spinto i tassi monetari a un livello così vicino allo zero da non poterne prevedere ulteriori contrazioni ma, dall’altro lato, ha prodotto condizioni di incertezza, che si riversano sia sul conto economico delle banche che sulle prospettive produttive della loro clientela, che sospingono verso l’alto il premio per il rischio. La crisi finanziaria ha fatto emergere perdite – effettive e attese – sui titoli in portafoglio delle banche le quali hanno appesantito il conto economico e le hanno indotte a irrigidire le condizioni dei loro prestiti (…). Politiche che puntano a favorire la crescita del risparmio e il rilancio degli investimenti producono così un esito del tutto opposto di contrazione produttiva e occupazionale (…). La conclusione appare scontata; in condizioni recessive, una politica monetaria di bassi tassi d’interesse è insufficiente a rilanciare la produzione. Il particolare coordinamento delle politiche perseguito dalla classe dirigente europea risulta quindi un evidente errore economico. O forse lo si può interpretare come un non-errore “politico”, se il suo vero obiettivo è quello di forzare, attraverso la recessione, la ristrutturazione del modello di società europea; se in sostanza mira a ridimensionare, costi qual che costi, il ruolo dello Stato e la capacità contrattuale dei lavoratori (…). La consapevolezza del processo di trasformazione economica e sociale in atto rende urgente (…) la presenza di governi – sostenuti da movimenti sociali – decisi a rifiutare tale processo di deflazione sociale e in grado di contrapporsi risolutamente, a livello europeo, alla politica dell’attuale classe dirigente.
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