di Anna Maria Merlo -

 

La Francia è traumatizzata dalle cifre sulla disoccupazione, un record storico di 3,2 milioni di senza lavoro, che salgono a più di 5 milioni con coloro che hanno un’attività ridotta e a 5,7 milioni di iscritti al «Pôle Emploi», l’agenzia di collocamento. Mille disoccupati in più ogni giorno nell’ultimo mese, sacrificati sull’altare dell’austerità ad oltranza per far quadrare i conti pubblici del «consolidamento di bilancio» imposto nella zona euro.
Nella sinistra è rivolta.

Tanto più che altre ondate di licenziamenti sono all’orizzonte, dallo spegnimento degli altiforni di Florange fino alla chiusura possibile dello stabilimento di Aulnay della Peugeot, passando per una miriade di altri casi. Non è solo più il Front de Gauche a protestare, che organizza per il 5 maggio una manifestazione contro l’austerità e per una VI Repubblica più democratica. Il malessere ha da un po’ raggiunto i Verdi, che peraltro sono nel governo. Ma adesso la rivolta è all’interno del partito socialista. Dopo le affermazioni dissidenti del ministro del rilancio produttivo, Arnaud Montebourg e del responsabile dell’economia sociale nel governo Ayrault, è sceso in campo un pezzo grosso del Ps, Claude Bartolone, presidente dell’Assemblea nazionale e a questo titolo terza personalità dello stato. Bartolone, in un’intervista a Le Monde, chiede «un nuovo tempo per il quinquennato», cioè una svolta a sinistra. Bartolone va giù pesante: propone un «scontro» con la Germania per costringere Berlino ad accettare una politica di rilancio in Europa.
Ieri, la direzione del Ps ha prodotto anch’essa un testo molto critico nei confronti della politica di Hollande, in vista della convenzione sull’Europa del 16 giugno. I socialisti francesi invitano i partiti di sinistra europei a «indignarsi» contro «le ricette che hanno portato al peggio: il libero scambio commerciale come solo orizzonte delle relazioni estere, l’austerità come unità di misura all’interno delle frontiere». In altri termini, il Ps invita a ribellarsi contro il modello tedesco, fatto di aumento della competitività a scapito del diritto del lavoro e di crescita tirata solo dall’export. Il testo del Ps va allo scontro con la Germania e accusa Angela Merkel di «intransigenza egoista», perché «pensa solo al risparmio dei correntisti d’oltre Reno, alla bilancia commerciale di Berlino e al suo avvenire elettorale», a circa 150 giorni dalle legislative tedesche.
In Germania le orecchie fischiano. Il governo tedesco ha preso male i primi cenni di cedimento a Bruxelles. Il ministro degli esteri, Guido Westerwelle ha respinto l’apertura del presidente della Commissione, José Manuel Barroso, che qualche giorno fa ha affermato che il rigore aveva «raggiunto un limite» in Europa. Angela Merkel è intervenuta sulla Bce, affermando che la Germania avrebbe bisogno di un aumento dei tassi (garantire la rendita, poiché ha una popolazione anziana, evitare il rischio di una bolla immobiliare che si profila all’orizzonte). Ma, ha ammesso Merkel, gli altri paesi avrebbero invece bisogno di un calo dei tassi, che del resto è atteso anche dai mercati.
In Francia anche i sindacati sono sul piede di guerra contro Hollande. Il nuovo segretario della Cgt, Thierry Lepaon, ha scritto a Hollande per ricordargli che chi lo ha eletto un anno fa aspetta ancora «il cambiamento» promesso. «Siamo costretti a constatare lo scarto crescente tra i suoi impegni e gli atti», dice. Il sindacato, con Fo, non ha approvato l’accordo sull’occupazione (accettato dalla Cfdt), che facilita i licenziamenti in cambio di qualche concessione ai lavoratori. L’accordo è già passato all’Assemblea a marce forzate. Inoltre, la Cgt critica il governo e il Ps per aver respinto l’amnistia sindacale che era peraltro passata al Senato: un voltafaccia del Ps, che non voterà la legge che depenalizza i reati commessi dai militanti sindacali durante le manifestazioni, condannabili fino a 5 anni di carcere (in generale, danni alle cose). La Cgt parteciperà, con la Cfdt, alla settimana di proteste sindacali europee contro il rigore tra il 7 e il 14 giugno.

 

il manifesto 27 aprile 201

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