La manifestazione promossa dalla Fiom per il 18 maggio è importante per molti motivi. Perché rompe il vuoto di mobilitazioni tanto più grave mentre la crisi si dispiega con tutta la sua violenza e chi ne è colpito rischia di rimanere con il carico di una sofferenza solitaria. Perché parte dalle metalmeccaniche e dai metalmeccanici ma ha l’obiettivo di ricomporre il mondo del lavoro, frammentato e precarizzato, a partire dalle parole d’ordine del blocco dei licenziamenti e della riduzione d’orario, della riconquista del contratto senza deroghe, del salario orario minimo e del reddito di cittadinanza. Perché mette in campo una piattaforma che parla della necessità di un cambio generale e radicale di rotta, che rimetta in connessione i soggetti colpiti dalla crisi e le diverse realtà di movimento.
La manifestazione si colloca in un contesto regressivo e drammatico. Con un governo che è la negazione della richiesta di cambiamento uscita dalle urne. Un governo che da un lato ha esplicitato il proprio obiettivo di un’ulteriore torsione autoritaria del sistema istituzionale, e che sul versante sociale si dispone in continuità con le politiche di austerità, di cui al massimo si cerca di attenuare a dosi omeopatiche la stretta. Il dibattito pubblico è egemonizzato dal tema dell’Imu, senza che nessuno dica che alla giusta eliminazione della tassazione sulla prima casa non di lusso, dovrebbe corrispondere una patrimoniale progressiva sulle ricchezze immobiliari e finanziarie, mentre a malapena si ragiona di risposte parzialissime al rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga, con stanziamenti ipotizzati del tutto insufficienti rispetto ad un fabbisogno stimato in non meno di 3 miliardi per il 2013. E se non è chiaro se si vuole procedere – come proposto dallo stesso Letta – ad un ulteriore precarizzazione del lavoro, il Ministro Giovannini si mostra soddisfatto degli esiti della riforma Fornero, non importa se è calata ancora la quota di assunzioni a tempo indeterminato mentre proliferano i contratti di brevissima durata.
Eppure la situazione è drammatica come non mai. Lo è negli indicatori sociali come nelle previsioni di quel che accadrà senza un rovesciamento delle politiche sin qui fatte. Continua a diminuire il Pil, con stime riviste sempre in peggio, mentre le manovre dei governi Berlusconi e Monti, con i loro 125 miliardi di impatto per gli anni fino al 2014, non hanno ancora dispiegato tutti i loro effetti recessivi.
Non si sono ancora dispiegati gli effetti della spending review sulla sanità, in un paese in cui il sistema pubblico e universale è già in discussione, con nove milioni di persone che hanno smesso di curarsi perché non ce la fanno a pagare i ticket. Né gli effetti sull’incremento della disoccupazione, di quel gigantesco aumento dell’orario di lavoro nell’arco della vita che è la controriforma Fornero delle pensioni. Né il potere destrutturante dell’articolo 8 e della cancellazione dell’articolo 18. Ed a questo quadro deve aggiungersi la folle ricetta del Fiscal Compact, la cui attuazione non è ancora iniziata. Per questo è necessario riprendere un percorso duraturo di iniziative, sul terreno del conflitto sociale come su quello della ricostruzione di percorsi unitari di una sinistra antiliberista, tema decisivo e non risolto dalla pluralità di «costituenti» che avanzano in parallelo. Intanto ci pare importante avanzare una proposta a chi domani sarà in piazza, alle forze che si collocano all’opposizione del governo Letta, e a chiunque voglia dare il proprio contributo.
E’ quella di rilanciare la campagna referendaria che lo scioglimento anticipato delle urne ad opera di Napolitano ha vanificato. Sull’articolo 8, il 18, sulle pensioni, l’abolizione della diaria dei parlamentari ed anche sulla precarietà, la costruzione di uno schieramento ampio che si proponga di raccogliere le firme entro il 30 settembre, consentirebbe di votare i referendum nel 2014.
di Roberta Fantozzi, il manifesto del 17 maggio 2013