di Roberta Fantozzi

111216fantozzi«Il diktat di Marchionne, che Cisl e Uil hanno firmato, contiene una clausola inaudita, che nemmeno negli anni dei reparti-confino di Valletta era stata mai immaginata: la cancellazione dei sindacati che non firmano l'accordo, l'impossibilità che abbiano una rappresentanza aziendale, la loro abrogazione di fatto. Questo incredibile annientamento di un diritto costituzionale inalienabile non sta provocando l'insurrezione morale che dovrebbe essere ovvia tra tutti i cittadini che si dicono democratici. Eppure si tratta dell'equivalente funzionale, seppure in forma post-moderna e soft (soft?), dello squadrismo contro le sedi sindacali, con cui il fascismo distrusse il diritto dei lavoratori a organizzarsi liberamente». Cominciava così l'appello promosso ormai quasi un anno fa da Micromega dopo la firma del diktat di Marchionne a Mirafiori. Le poche righe di quell'appello vanno ricordate per due motivi. Il primo sta nella nettezza del giudizio espresso: la cancellazione dei sindacati che non firmano è l'equivalente funzionale dello squadrismo fascista contro le sedi sindacali.

Il secondo sta nel richiamo alla "insurrezione morale" che a fronte di questo fatto dovrebbe essere espressa da tutti i cittadini democratici, come invece purtroppo non avviene. Quell'appello è straordinariamente attuale oggi, più di un anno fa. La necessità di quell'"insurrezione morale" va richiamata a tutti noi come un vaccino contro ogni adattamento, persino quell'adattamento inconsapevole e quasi naturale che deriva dal fatto che eventi a lungo incubati non suscitano più lo scandalo del primo sguardo. Il 13 dicembre 2011 si è consumata una svolta epocale per quel che riguarda i rapporti di lavoro, il modello sociale, la democrazia. Che svolta è, anche se da tempo annunciata. Nel più grande gruppo industriale di questo paese le lavoratrici e i lavoratori non potranno più eleggere i loro rappresentanti, che saranno invece nominati. Nel più grande gruppo industriale di questo paese l'organizzazione sindacale con il maggior numero di consensi ed il maggior numero di iscritti non avrà più diritto di rappresentare le lavoratrici e i lavoratori, indire assemblee, avere a disposizione locali e permessi per l'esercizio di queste funzioni, né ricevere i contributi dei propri iscritti. Questo perché si è rifiutata di firmare un accordo che distrugge il contratto collettivo nazionale e viola diritti inalienabili delle lavoratrici e dei lavoratori, a partire dal diritto di sciopero e dalle garanzie di retribuzione in caso di malattia. Si è rifiutata di firmare un accordo che peggiora in maniera micidiale le condizioni di lavoro, con il comando totale dell'azienda sui tempi di lavoro e di vita, dagli straordinari che possono arrivare fino a 200 ore annue ai 18 turni, dal taglio delle pause alla mensa a fine turno. Tutto questo avviene mentre quel grande gruppo industriale, dopo aver promesso 20 miliardi di investimenti, continua a dismettere parti rilevanti del proprio apparato produttivo, colloca il proprio baricentro sempre più oltreoceano, e inaugura la nuova Panda a Pomigliano, avendo finora riassunto 594 dipendenti sui 5000 precedenti, tutti ovviamente ben selezionati, senza nessun impegno reale sull'occupazione complessiva. In quel grande gruppo industriale, infine, mentre si è imposto alle lavoratrici e ai lavoratori di votare con il ricatto della perdita del posto di lavoro a Pomigliano, a Mirafiori, alla Bertone, gli oltre 80.000 lavoratori e lavoratrici non avranno possibilità alcuna di pronunciarsi con un referendum. Forse voteranno le Rsu come ultimo atto prima del loro scioglimento. Sono cose che sappiamo ma che vanno ricordate. Perché non esiste politica che non parta dall'indignazione. A questo esito prodotto dalla lunga offensiva di Marchionne e dall'azione solerte del governo Berlusconi, tanto assente nel richiedere qualsiasi impegno sul terreno industriale quanto presente nello smantellamento dei diritti, hanno contribuito in molti. La complicità di Cisl, Uil, Ugl prima di tutto. Quella dei molti cantori della Fiat, presenti trasversalmente nello schieramento politico, ed in non piccola parte, purtroppo, nello stesso Partito Democratico. Qui ora stiamo. Ad un intreccio micidiale tra le norme approvate - con l'articolo 8 fatto apposta per proteggere la Fiat dal giudizio dei tribunali e per smantellare tanto il contratto nazionale quanto l'intera legislazione a tutela del lavoro - e le pratiche messe in campo dalla Fiat. Un intreccio il cui obiettivo è la distruzione di ogni conquista del movimento dei lavoratori. Né è credibile che il nuovo governo, a cui pure da più parti ci si è appellati, come sempre si fa, rimetta in discussione il quadro che si è determinato. Del resto, non una parola è venuta dai ministri presenti a Pomigliano, mentre all'ordine del giorno, dopo la micidiale finanziaria in approvazione, pare essere il nuovo intervento definitivamente liquidatorio dell'articolo 18. Qui ora stiamo ed è necessario attrezzarsi. Attrezzarsi ad un'emergenza democratica che è il segno regressivo di questi tempi. I tempi del divorzio tra capitalismo e democrazia, dello stato di eccezione permanente, della complicità della politica delle èlites dominanti al finanzcapitalismo. Ad un'emergenza democratica che riguarda quello che sta avvenendo nei rapporti di lavoro, ma anche vicende apparentemente "minori", come la chiusura a cui saranno forse costrette decine di testate giornalistiche, voci libere indispensabili per una società pluralista. Costruire l'opposizione è una necessità per impedire la degenerazione che può investire la nostra società. Nessuna mobilitazione in sé sarà risolutiva, ma tutte saranno indispensabili, perche si determini l'accumulo di forze soggettive in grado di rendere credibile un'alternativa. Sostenere la Fiom nelle iniziative che metterà in campo e nel frattempo attrezzarsi al referendum sull'articolo 8, come sull'articolo 19 dello Statuto dei lavoratori usato per negare il principio di libertà sindacale sancito in Costituzione, sono strade che vanno da subito rilanciate, a prescindere dai tempi in cui sarà possibile attivare i concretamente i percorsi referendari. Fare della democrazia e del lavoro il centro di un'iniziativa in grado di ricostruire percorsi unitari a sinistra è decisivo. Intanto sarà bene appuntarsi sui cappotti quella spilla «Voglio la Fiom in Fiat», che dovremmo far diventare quello che sono state le bandiere della pace appese alle finestre. Il segno che diritti e libertà nel lavoro riguardano tutti, e che vogliamo riprenderceli.

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