111216fantozziIl sindacalismo di base riafferma i propri No al governo
“No debito, No Monti” è stata questa la parola d’ordine che ha attraversato oggi il corteo nazionale indetto dal sindacalismo di base che ha attraversato le strade di Roma fino a P.zza S. Giovanni. Difficile quantificare la partecipazione, ci voleva almeno un ora per vedere sfilare l’arcipelago dei manifestanti, ma gli organizzatori hanno patito le difficoltà nei trasporti soprattutto dal sud. Molti pullman non sono potuti partire per la carenza di carburante derivante dalla protesta dei giorni scorsi degli autotrasportatori e questo ha penalizzato intere regioni mobilitate come la Calabria. Comunque una manifestazione forte, da una chiara e netta caratterizzazione politica, attraversata da molte realtà sociali extra sindacali (comitati per l’acqua, occupanti di case, precari,centri sociali, molte le bandiere No Tav in solidarietà con gli arrestati), forze politiche come il Prc ed altre organizzazioni della sinistra di classe. Presenti sia Paolo Ferrero, che Roberta Fantozzi, della segreteria nazionale e responsabile nazionale lavoro, welfare e politiche di cittadinanza a cuiu chiediamo un commento sulla mobilitazione.


«Pensiamo che questa sia stata una mobilitazione importante, perché ha provato a rompere una situazione in cui larga parte del Paese vive una condizione di disagio e di sofferenza sociale molto forte, è arrabbiata e oltre tutto considera iniqua la manovra fatta dal governo. Se si sta a quello che ci dicono i numeri dell’Eurispes, solo per il 7,2 la manovra è equa e per il 46% è stata dura solo con i ceti più deboli e per il restante ha colpito i ceti medi.  Poi ci sono i dati materiali. Secondo l’Ocse in Italia il reddito medio del 10% benestante è 10 volte di più del reddito medio del 10% più povero. 20 anni fa la differenza era di 7 punti. La Banca d’Italia ha ridetto che il 10% della popolazione detiene il 46% delle ricchezze mentre il 14,4% era in situazione di povertà a causa di reddito insufficiente. Secondo l’Istat, dati di dicembre, l’inflazione si è mangiata l1,8% dei salari. Questa è la fotografia di una crescita delle diseguaglianze, soprattutto sul lavoro dipendente. C’è un sapere critico che però si intreccia ancora con una grande rassegnazione a livello di massa. Ci sono le proteste di settori ma non c’è una risposta che sia in termini di denuncia e di organizzazione del conflitto. Il quadro rischia di essere segnato da un elemento di impotenza. Il fatto che ci siano il mondo del lavoro dipendente, dei pensionati, che rientrano in pista e costruiscono mobilitazione e conflitto è cosa assolutamente decisiva. C’ ancora un  problema di credibilità, di ricostruzione di percorsi, di costruzione di alternativa ma su questo dobbiamo lavorare, portando i nostri contributi».
Il governo però sembra non voler prendere neanche in considerazione le mobilitazioni sindacali
«No, procede come un treno. In pochi giorni ha reso ancora più inaccettabili le prospettive di vita e di futuro di chi va in pensione, dando il colpo di grazia dopo la riforma di sistema messa in atto da Dini. Poi ha fatto credere di voler abolire privilegi e in realtà ha attaccato solo welfare e diritti dei lavoratori, ora si prepara ad una riforma strutturale del mercato del lavoro che, senza modificare nulla di quanto già elaborato da Berlsuconi (art 8 ad esempio) pretende di azzerare gli ammortizzatori sociali, rimuovere l’ostacolo dell’art 18, realizzare un sistema che è corretto definire di flexunsecurity, ovvero di flessibilità senza alcuna sicurezza, introdurre come nuova tipologia, un contratto di assunzione che per 3 anni priva il lavoratore di ogni diritto. Per questo governo i sindacati, sia di base che confederale sono solo una “lobby fastidiosa” a cui comunicare decisioni già prese e immodificabili. Bisogna quindi generalizzare la protesta e le mobilitazioni».
Con quali prospettive?
«Serve una risposta che sia insieme sociale e politica. Noi adesso saremo impegnati per la riuscita della manifestazione indetta dalla Fiom per l’11 febbraio. Non solo perché è inaccettabile che il più grande sindacato nel settore metallurgico sia stato espulso dalle grandi fabbriche, non solo contrastare l’intenzione di Marchionne di estendere a tutta la Fiat il modello Pomigliano e di Federmeccanica di estenderlo a tutto il settore ma perché ne va della democrazia, non solo sindacale ma tout court. Le manovre distruggono, tolgono diritti e invece di pensare ad un piano industriale per il Paese tentano di mandare anche in malora i poli produttivi. Penso ai trasporti. In Italia il 65% della circolazione di merci avviene ancora su gomma. Invece di incentivare il trasporto su ferro e su mare si colpiscono Fincantieri, Ansaldo, Irisbus. Non si opera per un progetto di mobilità sostenibile e questo ci pone agli ultimi posti in Europa. L’11 febbraio può portare a tema questo come le vertenze dei metalmeccanici come i tanti elementi di conflittualità presenti nel Paese. I tanti “No” che dobbiamo ribadire e contemporaneamente le nostre proposte di alternativa reale, che nascono da un sapere diffuso e che ci potrebbero far uscire, con vera giustizia sociale, dalla crisi».
Stefano Galieni

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