articolo18

di Roberta Fantozzi

Mario Monti si era espresso ieri l'altro in termini inequivoci sul "confronto" in corso sul mercato del lavoro: "vogliamo e ci auguriamo un'intesa entro marzo, ma non potremmo fermarci se a quel tavolo non ci fosse l'accordo". Ieri è nuovamente tornata sul punto Fornero: "deve essere chiaro che il tema del riordino dei contratti e della flessibilità in entrata è subordinato al tema della flessibilità in uscita"...

Più chiari di così si muore. Il governo ribadisce la sostanza della sua concezione del rapporto con i sindacati, già esplicitata in occasione della mattanza sulla previdenza. Qualche incontro non si nega a nessuno, e avendo già fatto per l'appunto la mattanza sulla previdenza senza nemmeno la parvenza di un confronto, in questo caso meglio dimostrare qualche attenzione in più, ma il finale di partita lo decidiamo noi, "a prescindere". E il governo ribadisce anche il merito: in quel finale di partita la sostanza è la manomissione dell'articolo 18. Che non ci sia nessuna relazione con il tema della "crescita" non conta. Non conta neppure che persino le statistiche dell'OCSE certifichino che in Italia la cosiddetta "rigidità in uscita" cioè la difficoltà di licenziare sia abbondantemente inferiore alla media europea e che dunque il problema sia semmai quello di rafforzare le tutele dei lavoratori e non certo di diminuirle ulteriormente. I "professori", si sa, studiano quando fa loro comodo. Cisl e Uil esplicitano il loro riposizionamento, anche in questo caso senza veli. Il più chiaro è Bonanni: "Inutile prenderci in giro. Sappiamo che il governo interverrà, sta a noi trovare soluzioni". Che si possa contrastare le volontà del governo, aprire un conflitto nel paese, è cosa che evidentemente, per il leader della Cisl, non rientra negli orizzonti del possibile.

La china presa è dunque evidente. L'articolo 18 è posta in gioco, "tabù" da rompere in ogni modo, secondo una delle molte ipotesi di manomissione che sono state avanzate. Prima, come è noto, si è proposto l'innalzamento a 50 dipendenti della soglia per cui non vale l'articolo 18, poi le molte varianti di contratto di ingresso, da ultimo le attenzioni si sono concentrate sull'esclusione dalla protezione dell'articolo 18 dei licenziamenti individuali per motivo economico. Ed è questa l'ipotesi più probabile, da demistificare e denunciare con forza. La possibilità di licenziare per "motivi economici", in caso di crisi o di ristrutturazioni aziendali, non è affatto impedita dall'articolo 18. Quello che si vuole eliminare è invece la possibilità che un giudice esamini se questo o quel licenziamento è effettivamente determinato da reali motivazioni economico-produttivo e possa disporre la reintegra se quelle motivazioni non esistono. Eliminare la protezione dell'articolo 18 equivale a consentire che i licenziamenti che puntano a colpire lavoratori impegnati nell'attività sindacale vengano camuffati da licenziamenti per motivo economico. Ed è una variante su questa stessa linea l'idea di assimilare i licenziamenti individuali per motivo economico a quelli collettivi, proposta qualche giorno fa dalla Cisl. Nel caso di licenziamenti collettivi per motivi economici, infatti il datore di lavoro è tenuto solo al rispetto di una serie di criteri per l'individuazione dei lavoratori da licenziare. La giurisprudenza prevalente interpreta il ruolo del giudice, pur non escluso, come mera verifica del rispetto di questi criteri, e comunque attribuisce un valore decisivo all'accordo sindacale nella gestione delle crisi. Trasferire di fatto questo potere dei sindacati dalla gestione delle crisi aziendali al licenziamento di un singolo lavoratore, significa evidentemente aprire la porta a molti possibili arbitrii. Non ci sono forse sindacati che considerano legittima l'espulsione della Fiom dai luoghi di lavoro?

La posta in gioco è in realtà un salto di qualità nella ricattabilità sui posti di lavoro. La manomissione dell'articolo 18 continua ad essere un obiettivo decisivo, perché è su quell'articolo, sul suo valere di deterrenza rispetto all'arbitrio delle imprese, che si fonda per i lavoratori la possibilità di esercitare tutti gli altri diritti. E' quella protezione che impedisce la precarizzazione integrale dei rapporti di lavoro, che impedisce cioè che anche i rapporti a tempo indeterminato essendo "risolvibili "con qualsiasi pretesto diventino anch'essi rapporti precari. Come è quella protezione che consente ai lavoratori precari che denuncino l'irregolarità del loro contratto, di essere stabilizzati con un contratto a tempo indeterminato. Una stabilizzazione che diventerebbe evidentemente priva di ogni valore se si potesse, subito dopo, essere nuovamente espulsi dal posto di lavoro con una scusa.

La chiara volontà del governo di manomettere l'articolo 18 domanda un salto di qualità nell'iniziativa. Lo domanda ai soggetti sociali a partire dalla Cgil. Susanna Camusso ieri ha ribadito che l'articolo 18 è una norma di civiltà e che non è tema del confronto, ma senza una mobilitazione vera, l'esito rischia di essere drammaticamente scontato.

Lo sciopero e la manifestazione della Fiom sono per questo tanto più importanti. Perché quello sciopero pone al centro temi di prima grandezza: l'attacco gravissimo alla libertà e alla democrazia nei luoghi di lavoro del modello Marchionne, la mostruosità dell'articolo 8 della manovra di agosto che rende derogabili tanto i contratti nazionali quanto l'insieme delle leggi a tutela del lavoro, la centralità della difesa e dell'estensione dell'articolo 18.

Ma un salto di qualità nell'iniziativa è domandato da subito anche alle forze politiche che non ci stanno. Riguarda noi, la nostra capacità di moltiplicare le iniziative di denuncia e mobilitazione. Riguarda la capacità di dare, a sinistra, quel segnale che finora non c'è stato. La volontà di andare avanti sull'articolo 18 dice una volta di più che questo governo è tutt'altro che una "parentesi". E' all'opposto un governo "costituente" perché il vero mandato che ha, quello della BCE, dell'Europa a dominanza tedesca, è la realizzazione di un disegno organico. E' la risposta alla crisi nel segno dell'ipertrofia delle politiche che l'hanno causata a cui sacrificare quel che resta dei diritti sociali e del lavoro, della democrazia.

Costruire percorsi unitari che diano il senso di questa consapevolezza è il nostro impegno e il rinnovato appello che rivolgiamo a Sel come all'Idv. Per rompere la rassegnazione e mettere in campo un'iniziativa efficace.

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