La narrazione trionfalistica delle destre sull’occupazione è stata demolita dai dati forniti ieri dall’Istat che fotografano il record dell’incidenza della povertà assoluta in Italia, in particolare tra le persone che lavorano stabilmente.
L’aumento significativo dell’incidenza della povertà tra le famiglie con un lavoratore dipendente, passata dall’8,3% del 2022 al 9,1% del 2023,svela cosa c’è dietro l’occupazione in crescita: lavori precari o a part time, spesso sottopagati, un inflazione che ha continuato ad erodere il potere d’acquisto di salari e pensioni, più della metà dei contratti scaduti e non rinnovati. Non è un caso che il maggior aumento del numero di famiglie in povertà assoluta si registri nel nord dove l’incidenza della povertà è passata nell’ultimo anno dall’ 8,5 al 9%.
In generale la fotografia dell’istituto mostra un paese sempre più povero, ben diverso da come lo dipingono le destre al potere: sono 5 milioni e 700 mila le persone in stato di indigenza assoluta, il 9,8% del totale nazionale; ancor più grave la situazione al sud dove la povertà arriva al 12% e quella dei giovani tra i 18 e i 34 anni sui quali l’incidenza è dell’11,9%; il dato più desolante è quello che riguarda la condizione dei minori tra i quali l’incidenza della povertà assoluta individuale è giunta al 14% e colpisce 1,3 milioni di ragazze e ragazzi, il valore più alto della serie storica dal 2014.
La drammaticità della situazione trova riscontro in un nuovo calo dei consumi di circa il 2% rispetto al 2022 a causa del maggiore aumento dei prezzi rispetto alla spesa delle famiglie.
I dati mostrano come anche col governo delle destre prosegua la corsa dell’aumento della povertà e alla riduzione dei consumi misurate dal 2014 spinta anche dall’abolizione del reddito di cittadinanza decisa dal governo Meloni.
Nei dieci anni assunti a riferimento la povertà assoluta è passata dal 6,9 del 2014 al 9,8% del 2023, la spesa delle famiglie nello stesso periodo, pur essendo sostenuta da una significativa erosione dei risparmi, è diminuita in termini reali del 10,5%.
Tutto ciò è il prodotto delle politiche liberiste che durano da tempo e che questo governo prosegue anche rifiutando di calendarizzare la discussione della proposta di salario minimo a 10 euro l’ora che abbiamo depositato in Senato. Chiediamo a tutte le forze politiche e sociali che credono davvero nella necessità dell’introduzione di questa legge per contrastare il disastro sociale in atto di mobilitarsi con noi perché sia discussa e approvata.
Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro del Prc