di Gianluigi Pegolo
Non per indulgere in pulsioni antipolitiche, né tantomeno per agitare proteste qualunquiste, ma per un principio elementare di decenza, non si può che esprimere il proprio disgusto di fronte al dibattito sulla legge elettorale in corso fra le forze dell’attuale maggioranza di governo. Il disgusto, si badi bene, non nasce dalla generica sfiducia nei confronti del sistema istituzionale e, quindi, dallo scetticismo sulle regole che presiedono alla formazione della rappresentanza. Nasce invece dallo sconcerto nel costatare la distorsione delle regole democratiche a fini di parte, l’assenza dal dibattito di qualsiasi serio ripensamento sulla crisi delle istituzioni prodottasi in questi anni, la spregiudicatezza con la quale si utilizzano argomenti contraddittori a giustificazione di scelte mutevoli.
In questa condizione il cittadino elettore, già vessato sul piano sociale – in particolare quello meno tutelato – non riesce più a capire di cosa si stia realmente discutendo, le sue opinioni sono manipolate con argomenti demagogici che vengono gettati nel dibattito, le tradizionali discriminanti politiche – per intenderci l’essere di destra o di sinistra – scemano di fronte a proposte che sono dettate, in ultima istanza, dalla pura volontà di preservazione dei ceti politici. Per questo chi a sinistra vuole distinguersi ridando valore alle istituzioni e al loro fondamento democratico deve avere il coraggio di fare chiarezza e fornire alcuni elementi di comprensione.
Non ho qui lo spazio per analizzare la vicenda nella sua complessità – come sarebbe necessario – e mi limiterò, pertanto, ad alcuni sintetici richiami. Ogni ragionamento sulle leggi elettorali dovrebbe partire da un bilancio sull’esperienza fin qui condotta. Ora, non vi è nessuno in questo paese, né tantomeno il PdL, il Pd e l’UDC (che ne sono le forze di governo) che sostengano la validità dell’attuale legge elettorale: il vituperato “porcellum”.Gli argomenti sono noti. Trattandosi di un sistema a liste bloccate i cittadini non hanno alcuna possibilità di determinare chi sarà eletto, inoltre trattandosi di un sistema di coalizione con premio di maggioranza, alla coalizione che prevale anche di pochi voti viene attribuito un abnorme premio in seggi per garantirle la maggioranza assoluta.
A questo punto il buon senso vorrebbe che le proposte di modifica s’indirizzassero in due direzioni: restituire ai singoli cittadini il diritto di scegliere i candidati ed eliminare quell’assurdo premio di maggioranza che distorce totalmente il peso che nella società hanno le varie opzioni politiche. La soluzione più ovvia dovrebbe essere un sistema di tipo proporzionale con indicazione dei candidati, dopodiché le soluzioni tecniche possono essere diverse. Si va dal ripristino sostanziale del precedente sistema proporzionale (magari con una soglia, però assai contenuta, di sbarramento) e la reintroduzione della preferenza, a sistemi simili a quello “tedesco”, a varianti di altri sistemi sempre di tipo proporzionale. Quello cui stiamo assistendo, è invece un “tira e molla” finalizzato non a superare il “porcellum” nella direzione di un sistema più democratico, ma di soluzioni truffaldine tese esplicitamente ad avvantaggiare i partiti maggiori.
La cosa più scandalosa è la vicenda del premio di maggioranza. Dopo aver polemizzato con il premio di maggioranza attribuito alla coalizione più forte previsto nel “porcellum”, il PD sostanzialmente lo ripropone. Il PdL che, a differenza del PD, non dispone sulla carta di una coalizione vincente si attesta sul premio al partito più forte. Le giustificazioni addotte sono tanto deboli quanto strumentali. Per quale motivo vi dovrebbe essere un premio al partito maggiore? Il PdL sostiene che ciò favorirebbe la formazione di una maggioranza intorno a quel partito, ma nessuno è in grado di giustificare il motivo per il quale il partito maggiore in un sistema parlamentare dovrebbe essere favorito nella formazione di un’alleanza di governo, non garantendo peraltro l’automaticità del risultato. E, infatti, il PD polemizza con il PdL che - a suo dire - in realtà punterebbe in questo modo a impedire la formazione di una maggioranza per riproporre il governo di unità nazionale. Peccato che il PD nel difendere il premio di maggioranza di coalizione per garantire maggioranze alternative pensi a un’alleanza ibrida con l’UDC (all’insegna di una sostanziale continuità con le politiche dell’attuale governo), col ché anche l’argomento dell’omogeneità dello schieramento, e a maggior ragione la sua alternatività, viene meno.
Sulla questione della scelta dei candidati siamo di fronte ad altre mistificazioni. Tutti apparentemente (PD, PdL e UDC) erano a suo tempo per restituire all’elettore il diritto di decidere. Ora, il PdL propone che comunque un terzo dei seggi alla Camera sia scelto con liste bloccate e i restanti due terzi con il sistema della preferenza. Il PD non ci sta perché vorrebbe che i candidati venissero eletti in collegi uninominali. Il che significa che l’elettore che vuole votare per un partito ha a disposizione un solo candidato riportato sulla scheda, con buona pace del suo diritto di scegliere chi dovrà essere eletto. Anche qui gli argomenti sono largamente pretestuosi. Il Pd, in particolare, contrasta la preferenza perché la considera fonte di corruzione, dimenticandosi del voto di scambio che si realizza puntualmente in molte realtà nei collegi uninominali. In realtà, il PD sostiene il meccanismo dei collegi uninominali per la semplice ragione che, data la sua maggiora forza nelle candidature locali, è favorito da questo sistema, che essendo inoltre iper-maggioritario gli può consentire grandi vantaggi in termini di seggi.
Non sappiamo se alla fine troveranno un accordo, ma non è impossibile che ciò accada. E non solo per le pressioni di Napolitano, o per le critiche ormai generali sul modello elettorale vigente, ma anche per una ragione fondamentale e cioè che il PdL non può permettersi di andare a votare con l’attuale sistema elettorale (che lo penalizzerebbe) e quindi a una qualche mediazione è comunque interessato a giungere. Vi sarà uno scambio del premio di maggioranza al partito che ha ottenuto più voti (al posto del premio di coalizione) con i collegi uninominali (al posto delle preferenze)? Potrebbe succedere, anche se è difficile fare previsioni. Quello che è certo è che un’ispirazione accomuna i soggetti politici principali ed è quella di ricostruire un sistema politico incardinato su alcuni (pochi) partiti maggiori, divisi fra loro da deboli discriminanti politiche e anzi in sostanziale continuità con le politiche fin qui condivise con il governo Monti. Se si dovesse usare una metafora desunta dal pensiero economico, quello che sembra profilarsi è il passaggio dal “duopolio” illusorio e fallimentare della seconda repubblica, all’”oligopolio” della terza, massacrando definitivamente la “libera concorrenza”. Perché questa è l’unica vera certezza. I partiti minori fuori dal coro devono essere liquidati (si veda l’accordo dei partiti di governo su un’alta soglia di sbarramento), oppure posti nella condizione di non nuocere (attraverso premi di maggioranza costruiti ad arte).
Tutto ciò cosa ha a che fare con la democrazia? Nulla. Ne è l’esatto opposto perché punta a restringere, anziché ad ampliare la partecipazione e perché promuove l’omologazione politica, anziché favorire un’ampia e salutare dialettica. Si tratta di un gioco assai rischioso perché collocandosi in una fase di crisi sociale così acuta e creando – per via istituzionale - le condizioni per una duratura egemonia liberista dalle nefaste conseguenze sociali, crea anche le condizioni per una rottura ancora più radicale fra cittadini, istituzioni e governo del paese. Uno scenario che alimenta naturalmente l’antipolitica, a meno che la sfida per una svolta non sia raccolta da uno schieramento autenticamente democratico, di sinistra e antiliberista.