di Tommaso di Francesco

Dunque la guerra non va in vacanza, nemmeno per gli italiani. Ora è ufficiale: i nostri quattro cacciabombardieri Amx del 51esimo stormo dispiegati a Herat stanno bombardando a tappeto il nemico talebano. La conferma arriva dai nostri reportage dall'Afghanistan, dalle dichiarazioni del generale Luigi Chiappperini comandante del nostro contingente e da molte testimonianze «eroiche» dei piloti che partecipano agli attacchi.

Chi ha autorizzato l'entrata nella guerra aerea dell'Italia in Afghanistan? È stato il governo «tecnico», sostenuto da Pdl, Udc e Pd. E in particolare il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, il ministro che più tecnico non si può: è ammiraglio ed è stato comandante delle forze Nato. Lo stesso che in questi giorni muove lobby militar-industriali e schieramenti politici connessi per ottenere l'approvazione di ben 90 cacciabombardieri F-35, che ci costeranno 10 miliardi, nella finanziaria rivisitata dalla spending review, che taglia spese sociali, welfare e pensioni. Altro che conflitto d'interessi. È stato lui il 28 gennaio scorso, nel silenzio generale, a informare la Commissione difesa del parlamento della decisione di usare sul campo afghano «ogni possibilità degli assetti presenti in teatro, senza limitazione» armando gli Amx che fino a quel momento volavano senza bombe.
Così dal 27 giugno i tremila soldati italiani impegnati a terra nell'
«offensiva decisiva» Shrimp Net (Rete per gamberi) a sud di Farah, sono supportati dal cielo dagli elicotteri d'attacco Mangusta, dai Predator senza pilota ma capaci d'indicare gli obiettivi da colpire (dalle antenne dei cellulari dei comandanti talebani agli arsenali, fino agli assembramenti che indicherebbero azioni per minare il territorio). Ora si aggiungono gli Amx con armamento micidiale: ordigni con sistemi sofisticati di precisione come il Lizard, bombe a guida laser e satellitare. Il generale Chiapperini conferma tutto ma, dichiara, «nelle regole d'ingaggio è vietato in modo assoluto colpire abitazioni e civili». Come se non sapesse delle decine di massacri di civili, scambiati per talebani, provocati finora dai raid aerei della Nato.
Ancora una volta è chiaro che l'Italia è in guerra. Quella più sporca, che coraggiosamente dall'alto dei cieli scarica sul terreno bombe micidiali. Siamo in guerra ma è meglio tacerlo. CONTINUA | PAGINA 2
Meglio non sapere che la nostra Costituzione fondativa, all'articolo 11, recita che «l'Italia bandisce la guerra come mezzo per la risoluzione delle crisi internazionali». Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, grande mallevadore del governo Monti, è anche il capo delle Forze Armate. È lecito chiedere se abbia autorizzato i bombardamenti aerei e se non ha niente da dire come capo dello stato che deve salvaguardare il dettato costituzionale.
Siamo al nocciolo del problema. I pantani di guerra in corso e quelli nuovi che si annunciano aiutano le leadership occidentali a sostenere il «percorso di guerra» - parola di Monti - dentro la crisi del capitalismo globale, del loro modello di sviluppo. Perché sostengono la spesa militare e le caste collegate, stabiliscono gerarchie e irrobustiscono alleanze militari obsolete, come la Nato, rendendole l'unico vero strumento attivo, criminale e «democratico», di intervento nella realtà.
In Afghanistan tutto questo si chiama crimine di guerra. Quel conflitto, che dura ormai più della guerra in Vietnam, è cominciato nell'ottobre 2001 come vendetta per l'abbattimento delle Torri gemelle. Fin dalle prime ore i bombardamenti aerei sono stati protagonisti, con la caratteristica di massacrare i civili. Rendendo via via agli occhi degli afghani sempre più odioso e fantoccio il regime di Hamid Karzai, il corrotto presidente che sosteniamo militarmente. Siamo arrivati al punto che i raid aerei della Nato sono diventati il principale alleato dei talebani: più stragi di civili, più proteste popolari contro Karzai e la Nato. Tutto questo era purtroppo chiaro da tempo. Da quando il governo di centrosinistra accettò, pur sostenendo la presenza dei soldati italiani in Afghanistan, i timidi e improbabili caveat che ne impedivano - a parole - l'uso in guerra. Che invece c'era e da subito, dal 2003-2004 anche con i nostri ufficiali integrati nel comando centrale della Nato che hanno sempre indicato gli obiettivi da colpire dall'alto dei cieli. Ora da quel conflitto tutti dichiarano di voler uscire, Obama per primo, di summit in summit, tra speculatori e donatori. Solo la Francia di Hollande mostra di volerlo fare davvero. Ma intanto l'obiettivo immediato delle forze occidentali resta quello di vincere militarmente sul campo.
Qualcuno dica che è ora di farla finita, qualcuno prenda la parola per le migliaia di civili straziati dalle bombe dei raid aerei ora anche «nostri».

 

il manifesto (15 luglio 2012)

 

 

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