di Roberto Gramiccia
Più che di un attacco, si tratta dell’ultimo affondo al corpo martoriato del principale, del più fondativo fra i servizi pubblici. E’ da tutti ammesso, infatti, che la salute viene prima di ogni altra pur importantissima cosa. Ebbene il combinato disposto dei tagli già effettuati dal governo Berlusconi e di quelli ulteriori previsti dalla spending review del supertecnico Enrico Bondi (con l’avvallo del ministro della Salute Renato Balduzzi) comporterà nei prossimi tre anni un ammanco di 20 miliardi di euro.
E’ un po’ come togliere del tutto o quasi la nutrizione artificiale a un malato già gravissimo. Questo malato è la Sanità pubblica che ma man mano che si affloscia produce la crescita (una specie di perverso gioco di vasi comunicanti) di quella privata (non a caso i profitti nel settore privato si sono incrementati del 25% negli ultimi dieci anni).
Il taglio dei posti letto che si abbatterà sul sistema sanitario non è ancora precisamente quantizzato. Si è parlato di un numero che va dagli 8 mila ai 22 mila. L’obiettivo è quello di raggiungere i 3,7 posti letto ogni mille abitanti. Numeri che pesano come pietre. Al pari della percentuale di Pil che spendiamo in Sanità che corrisponde al 7,1%.
Ci si dovrebbe spiegare perché, in media, in Europa quest’ultima è del 9%. E anche perché il numero medio di posti letto ogni mille abitanti supera le 4,5 unità. Questi semplici dati bastano a smentire una balla che purtroppo una comunicazione abilmente fuorviante ha trasformato in verità nel senso comune e, cioè, che abbiamo vissuto per anni al di sopra delle nostre possibilità. Ebbene, questa cosa è falsa e noi dovremmo gridarlo ai quattro venti perché la gente capisca e si ribelli e si organizzi per difendere quello che resta del SSN e dello stato sociale.
Noi non abbiamo speso più soldi degli altri paesi. Semmai ne abbiamo spesi meno. Con l’aggravante che in Italia la corruzione che infiltra la Sanità e il sistema politico fa sì che parte cospicua del danaro pubblico non si trasformi in servizi di utilità pubblica ma in mazzette e superprofitti. Secondo la Rete europea contro le frodi e la corruzione in Sanità, nel vecchio continente la corruzione divora il 5,56% delle risorse (negli Stati Uniti si arriva fino al doppio). L’Italia non ha aderito alla rete e quindi non è stata inserita nello studio ma non è difficile immaginare che questa percentuale sia da noi molto più alta. Tradotto: spendiamo di meno degli altri e quel po’ che spendiamo è ulteriormente eroso da una corruzione capillare, di cui ci sono talmente tanti esempi (vedi gli ultimi scandali nella regione Lombardia) da rendere stucchevole qualsiasi elenco.
Se pensiamo che siamo giunti a questo punto dopo che le fanfare dell’aziendalizzazione con i decreti 502, 517 e il 229 del 1999 per anni avevano trionfalmente annunciato la razionalizzazione della spesa andata fuori controllo, secondo i detrattori, a seguito della splendida riforma 833 del 1978, ci viene da sorridere. Ma è un sorriso amaro purtroppo che dimostra l’inconsistenza delle previsioni tecnocratiche e liberiste proprio mentre ci viene consegnato il quasi cadavere della sanità pubblica. Intendiamoci, la partita non è ancora chiusa. La situazione è caratterizzata inoltre da un’estrema variabilità fra nord centro e sud, con regioni virtuose come l’Umbria e regioni devastate dai debiti e dai piani di rientro come il Lazio. Ma in generale la situazione è veramente molto grave e quello che più colpisce è l’acquiescenza dell’opinione pubblica e anche il ritardo della Sinistra nel capire che quello della Sanità è un terreno di scontro fondamentale sia da un punto di vista pratico che da un punto di vista simbolico.
La sinistra radicale in particolare ha il preciso dovere, oltre che l’opportunità, di battersi a difesa del carattere pubblico della Sanità perché la cosa è evidentemente giusta in sé e anche perché su questo terreno è possibile coagulare consensi vasti e trasversali. In questo senso bisognerebbe sfruttare i molti insuccessi anche dei governi centrali e regionali di Centrosinistra su questo terreno, per indicare con forza l’evidenza che quello della salute è il principale e il più disatteso dei beni comuni. Questo ritardo dobbiamo colmarlo, altrimenti finirà che ci faremo scippare una cosa per la quale eravamo apprezzati nel mondo e per essere sempre meno credibili.
Non dovrebbe essere difficile vincere una battaglia (non dico la guerra) controegemonica almeno su un punto e, cioè, che la salute non può essere considerata alla stregua di una merce qualsiasi e quindi è l’idea stessa dell’aziendalizzazione del SSN che deve essere rimossa, nell’interesse di tutti. Del resto, a decretare la fine della 833 non furono tanto sue interne debolezze ma, da un lato, i mutati rapporti di forza fra capitalismo e forze del lavoro prodotti dalla vittoria internazionale del Thatcherismo e del Reaganismo e, dall’altro, gli sprechi e la corruzione connessi col sistema di potere della Dc. Non è per caso che anche nel periodo in cui quella legge era vigente le regioni cosiddette rosse fornissero il meglio dell’assistenza con il minimo della spesa.
Purtroppo i processi di aziendalizzazione e di privatizzazione sostenuti da una legislazione che dà un potere senza precedenti a direttori generali, a loro volta controllati dagli assessorati alla Sanità e dei governatori delle varie regioni, hanno finito per infiacchire il sistema, prevenendo ogni sua reazione anticorpale. Queste dinamiche sono state legittimate e corroborate da generose iniezioni di pseudocultura efficientista (ne è un esempio di scuola il sistema dei drg sul quale non abbiamo il tempo di dilungarci) di stampa anglosassone. Ma non eravamo noi fino a poco fa, insieme alla Francia, ad avere il primato della Sanità pubblica? E non erano gli Stati Uniti (vedete i dati che riguardano la mortalità infantile di questo paese) ad essere il fanalino di coda in questo settore? E allora perché seguire le orme di questi cattivi maestri? La domanda che pongo è evidentemente retorica.
La risposta è fin troppo ovvia. Si tratta di un aspetto del più generale processo di smantellamento del welfare e del sistema dei diritti attraverso il quale le élites economiche internazionali hanno deciso di far pagare ai lavoratori il prezzo della crisi, mantenendo intatti e possibilmente espandendo i profitti delle grandi gruppi monopolistici. Ma è proprio l’evidenza di questo attacco che può essere facilmente spiegata alla gente. Che rende urgente una nostra durissima presa di posizione. Che impone uno sciopero generale per difendere quello che resta della Sanità pubblica e dello Stato sociale. Prima che sia troppo tardi.
Recentemente dati Censis hanno reso noto che oltre 9 milioni di cittadini hanno smesso di curarsi perché non più in grado di sostenere il costo di spese sanitarie, non più garantite da un sistema che dovrebbe essere universalistico e non lo è più. Si tratta di un dato raccapricciante che si abbatte come al solito di più e più drammaticamente sulle regioni del Centro sud. Gli ulteriori tagli previsti da Bondi non faranno che drammatizzare questo dato, se non saremo in grado di organizzare una risposta politica. La critica al Pd su questo terreno dovrebbe essere favorita dalla comprensibilità e dall’appeal delle posizioni a favore della difesa della Sanità pubblica che ci dovrebbero rendere vincenti, perlomeno in questo settore. Questa volta non si tratta di sottili ragionamenti di politica economica ma della clamorosa evidenza che una buona Sanità o è pubblica o semplicemente non è (ricordate l’esempio della S. Rita, la clinica degli orrori di Milano?) Se il Pd resterà fermo sulle sue posizioni, allora obiettivamente aumenterà lo spazio a disposizione per quell’unità a sinistra divenuta per noi questione vitale. Se non lo farà, avremo comunque cambiato a nostro favore la situazione. In ogni caso, avremo difeso quel che resta della Sanità pubblica. Non mi pare poco. Anzi mi pare moltissimo.