di Ilaria Lani
“Togliere ai padri per dare ai figli”, quante volte ci siamo sentiti dire queste parole? Dopo mesi di retorica sulla riforma delle pensioni, adesso arriva il caso della Perugina. Il principio dovrebbe esser quello dell’equità intergenerazionale in una società in cui i figli sono sempre più esclusi dal lavoro, si vedono negata l’indipendenza economica e quindi la possibilità di essere adulti.
Nel BelPaese in cui l’arte dell’arrangiarsi è la norma questo motto si è tradotto così: “Togliere ai padri per dare ai (loro) figli”.
Sulla famiglia, infatti, si sono scaricate tutte le responsabilità ed è diventata l’unico ammortizzatore sociale disponibile, sempre pronta a mantenere i giovani senza lavoro, prendersi cura dei nonni non autosufficienti o dei nipoti senza l’asilo nido. La famiglia italiana è l’indennità di disoccupazione che un giovane precario non può percepire, la garanzia per avere un mutuo, la borsa di studio per pagare le tasse universitarie, ma anche lo strumento più efficace per trovare un lavoro.
D’altronde l’Italia è un paese fondato sull’eredità. Si eredita tutto dalla famiglia: i titoli, la casa, l’attività professionale, l’impresa, e, in tempi di crisi, anche il lavoro dipendente! Così un padre di famiglia, se benestante e con una buona posizione sociale, può trasmettere molti beni ai propri figli: se non ha l’impresa o lo studio avviato, può sostenerli nella ricerca del lavoro migliore attraverso conoscenze, relazioni e lauti sussidi economici.
Ma cosa può ereditare il figlio di un operaio? Al massimo il lavoro operaio del padre. Con questi tassi di disoccupazione non è poco, e molte grandi imprese hanno colto la palla al balzo avanzando proposte dal sapore di un “benevolo” ricatto, funzionali a produrre risparmi in cambio dell’assunzione dei figli. Nel caso della recente proposta Nestlè il padre invece di mantenere il figlio potrebbe dividere con lui il lavoro, il risultato non cambierebbe perché entrambi guadagnerebbero meno, troppo poco per vivere dignitosamente.
La Nestlè dichiara che questa idea gli è venuta in mente con la riforma delle pensioni, visto che il ricambio generazionale sarà quasi impossibile per i prossimi anni. E pensare che la riforma delle pensioni era stata fatta per tutelare i giovani! L’esito è sotto gli occhi di tutti: meno lavoro per i giovani, quindi meno contributi accantonati e in futuro una pensione inesistente.
La morale è che pagano sempre i soliti, padri e figli delle stesse famiglie, ovvero delle stesse classi sociali. Il risultato è quello di un Paese bloccato e le recenti politiche economiche, pur spacciandosi caritatevoli nei confronti dei giovani, hanno perseverato in questa direzione: non ci sono politiche occupazionali e per lo sviluppo, il welfare pubblico è sempre più avaro, la ricchezza viene accumulata e non redistribuita, aumentano e si ratificano le disuguaglianze. Purtroppo la cosa più drammatica è che i giovani sanno di essere predestinati: non serve studiare e impegnarsi (infatti calano le immatricolazioni all’università, anche per ragioni economiche), tanto il loro futuro non sarà mai migliore di quello dei propri genitori. Forse è da qui che dovremmo ripartire. Dal punto di vista che appare troppo dimenticato nel dibattito di questi giorni. E dovremmo chiederci se ancora oggi crediamo nel riscatto sociale.
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