di Matteo RadioBozen

Il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro ha dichiarato di volere formare una coalizione dei partiti "non allineati" di cui potrebbero far parte tutti coloro che non sostengono il governo Monti. L'annuncio del leader IdV è stato dato dopo che nelle ultime settimane il suo partito aveva cercato di trovare possibili alleati tra cui il M5S, che ha smentito immediatamente la possibilità di coalizzarsi, e SEL, che invece ha deciso di puntare ad una alleanza col Partito Democratico che da tempo "flirta" con l'UDC.
Il fatto che la "foto di Vasto" sia stata praticamente stracciata è un fatto più che assodato, e ciò che colpisce è il fatto che, dopo avere strizzato l'occhiolino all'unione centrista di Casini, il PD riesca a mandare giù il "ritorno in coalizione" del partito di Vendola.

Come si è arrivati a questa situazione in cui Di Pietro da alleato importante si è trasformato in un peso? Come mai il Partito Democratico ha deciso di scaricarlo nel giro di così poco tempo?

I motivi sono essenzialmente due. Il primo è il veto di Casini a cui Di Pietro non è mai particolarmente piaciuto. Il partito di centro, nell'avviare le trattative con Bersani, avrà sicuramente posto come condizione per cominciare a trattare l'impossibilità dell'ingresso dell'Italia dei Valori in coalizione (resta da vedere poi come, e se, digerirà l'ingresso di Sel). Inoltre l'eccessiva spinta per le primarie e la scelta dei rappresentanti in Parlamento potrebbe avere causato non pochi mal di pancia a una consistente frangia del PD che non vuole ristabilire le preferenze nella prossima legge elettorale.
 
Il secondo è che Di Pietro ha dimostrato, a partire dal 2008, di essere molto più bravo del PD a cavalcare i sentimenti dell'elettorato di sinistra. Il suo impegno in prima linea per difendere i Beni Comuni, anche se spesso con una malcelata divergenza rispetto ai movimenti referendari, lo ha comunque "sdoganato" in molte fasce dell'elettorato (di sinistra) che non lo avevano mai particolarmente gradito e accettato spesso solamente per il suo antiberlusconismo. Invece la sua strategia anticasta per guadagnare consensi e i suoi insulti al Presidente della Repubblica lo hanno portato ad essere sempre più visto come un leader populista, un pò come Grillo, che si muove abilmente tra destra e sinistra, ovvero tra ritorno alla legge reale e abrogazione della riforma Fornero.

Quello che dovrebbe risultare chiaro è Di Pietro si è inserito nel vuoto politico e culturale lasciato dalla Sinistra in in Parlamento, dato che il PD, che di sinistra ha forse ancora qualche esponente, si è appiattito su posizioni affini a Monti o per mancanza di Idee o per amor di patria. Questo vuoto è dovuto anche alla scomparsa della "sinistra radicale", ovvero i partiti che di sinistra hanno ancora qualcosa, dopo le elezioni del 2008.
 
Guardando attentamente la posizione ideologica dell'Italia dei Valori ci si rende anche conto di come non sia un partito di sinistra "tradizionale" e per affermare questo ci sono alcuni buoni motivi:
 

     la sua retorica della legalità lo rende più simile ad un partito di destra (europea, non di certo italiana)
     la mancanza di analisi approfondita di politica economica, che da sempre contraddistingue le sinistre, lo rende un partito populista che fa riferimento a categorie astratte di giustizia sociale ed uguaglianza senza avere la minima idea di come sia possibile realizzare questi due concetti a livello pratico attraverso delle politiche economiche
    il leaderismo verticista all'interno del partito non si sposa molto bene con gli annunci di democrazia diretta e scelta dei rappresentanti
    la scelta dei rappresentati in Parlamento ha dimostrato di essere deficitaria dato che è riuscito a portare in Parlamento elementi come Scilipoti, il quale ha un retroterra culturale decisamente parafascista

L'isolamento in cui Di Pietro e il suo partito si sono ritrovati nel giro di pochi giorni deve preoccupare non poco all'interno del partito. A livello ipotetico si possono prevedere sostanzialmente due scenari: uno in cui la riunione di tutti i "non allineati" avvenga dopo le elezioni e da molto dipenderà anche chi e con quali percentuali le vincerà; un altro in cui riuscirà a ricostruire un capitale politico di un certo spessore (magari attraverso i quesiti referendari da poco presentati) e spenderlo per rendere più appetibile il proprio progetto riformista o aumentare il proprio appeal in ottica alleanze.


Per il momento nessuno di questi due scenari è più probabile dell'altro, anche perché ancora non si sa con quale legge elettorale si andrà a votare. Infatti tutti i partiti cercano di lasciarsi aperte varie soluzioni, soprattutto quelli minori dato che i maggiori troveranno il modo di preservare i propri interessi scrivendo la legge elettorale stessa.

 

agoravox.it

 

 

 

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