di Guglielmo Ragozzino

Alcoa, Fiat Pomigliano, Ilva. Ecco tre problemi industriali emersi che il governo non vuole, non sa risolvere. C'è un quarto problema, minerario questo, e quindi non industriale ma sottoterra, ed è quello del Sulcis. Sulcis e Alcoa gravitano nello stesso quadrante della Sardegna, Sulcis-Iglesiente, tra la stessa gente: giovani che non trovano lavoro, redditi familiari in estremo pericolo. Che prospettive rimangono per un ragazzo, una ragazza di Carbonia con le miniere senza futuro, il parco che non decolla, l'alternativa della produzione di alluminio che svanisce? Il turismo costiero vale per una breve stagione, invece i giovani - e le famiglie - hanno la brutta abitudine di mangiare tutto l'anno.

Sul manifesto di ieri su tutto questo c'era un articolo, competente e sdegnato, di Loris Campetti («Un governo senza politica industriale»). Nel corso della giornata lavoratori dell'Alcoa hanno poi raggiunto Roma per sostenere un'eventuale trattativa. Seguiranno anche i pastori. L'immagine scelta da Campetti è che sia stato tolto il tappo alla Sardegna e l'isola intera rischi di affondare. Gira la voce di una trattativa aperta con Glencore, la multinazionale suprema dei metalli e delle derrate; quella che non solo compra e vende in tutti i paesi di mondo, ma punta spesso al monopolio e da qualche anno ha cominciato anche a produrre. Nel Sulcis, Glencore fa zinco e piombo con migliaia di addetti. Se appare come una soluzione semplice per il governo italiano è però un temibile concorrente, forse da evitare, per Alcoa.
Sarebbe come se Riva vendesse l'Ilva di Taranto a Mittal, il magnate indiano che controlla l'acciaio mondiale, oppure se Fiat vendesse lo stabilimento di Pomigliano - tanto per fare un nome - a Volkswagen. Siccome spesso la realtà supera la fantasia, quest'ultima favola potrebbe realizzarsi. Con un colpo di scena, la vendita dell'intera fabbrica, nuove linee e operai compresi, esclusi solo i 145 della Fiom, alla casa tedesca, è entrata nel novero delle scelte possibili in casa Fiat, da proposta indecente che era. Ricordavano opportunamente i giornali, per esempio l'Unità di ieri, che Sergio Marchionne aveva da meno di una settimana accusato il gruppo di Wolsburg di «sanguinaria politica al ribasso» e che era perciò difficile immaginare un contatto amichevole tra la sua Fiat e «quelli». Ma i capitalisti si muovono in un territorio e si parlano con un linguaggio che sono inaccessibili alle persone comuni e a quelli che hanno il compito sociale di cercare le notizie; tutti tanto facili da turlupinare.
Glencore e Volkswagen sembrano gli esiti favolosi di un governo senza idee, incapace di affrontare le multinazionali che agiscono in Italia, quelle indigene e le altre. Il mantra, sempre ripetuto, è quello di richiamarne altre e altre ancora, con il risultato di avere sul territorio nazionale sempre più imprese fuori controllo, mettendo però a disposizione la forza lavoro, dopo averla privata di diritti acquisiti; e assicurando a capitali stranieri e mercato di avere ormai salari, modelli di organizzazione del lavoro e flessibilità del tutto concorrenziali con i paesi vicini e lontani.

 

il manifesto 31 agosto 2012

 

 

 

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