di Daniela Preziosi

Che Casini non sia «nel campo» del centrosinistra, mancherebbe, non ci voleva Bersani per rivelarlo. Né Buttiglione per certificarlo. E che Vendola sia l'alleato prediletto del Pd, per carità sempre meglio farselo dire che no. Ma non basterà a far passare il malumore di cui soffre da qualche tempo la base vendoliana. E anche un pezzo del gruppo dirigente che oggi si ritroverà a Roma nell'assemblea nazionale, una specie di comitatone centrale da oltre 200 persone. Non è ancora un vero dissenso. Ma certo, l'estate è trascorsa a colpi di litigi a mezzo post sul tema dell'alleanza con i moderati, pure smentita da Vendola e dai suoi strettissimi. Leggere nuovaonda.blogspot.it per credere: «Non possiamo ignorare che le dichiarazioni di Vendola, in cui esclude questa ipotesi appaiono poco coerenti con alcuni passaggi del patto di alleanza con il Pd da lui sottoscritto, nel quale il riferimento ad un successivo accordo di governo con il polo centrista è assolutamente esplicito, vincolando ad esso i contraenti del patto».

Ergo «chiediamo che il partito venga coinvolto in una discussione ampia ed aperta negli esiti». Seguono firme.
E non c'è solo la rete. O i profili facebook dei dirigenti meno vicini a Vendola, come Alfonso Gianni, già braccio destro bertinottiano (che chiede «un soggetto di sinistra autonomo dal Pd»), o Fulvia Bandoli, femminista ed ecologista ex Ds, trasformati in un «muro del pianto» di militanti confusi e infelici.
Ci sono le assai più compassate assemblee federali di partito. Come quella di Mantova, che ha inviato un documento a Vendola secondo cui l'accordo con il Pd è «ambiguo» non solo perché questo partito sostiene Monti ma anche «perché la carta d'intenti, su cui si basa questo accordo, si presta ad interpretazioni di segno opposto guardando strabicamente a prospettive tra loro non mediabili». Stesse obiezioni anche da Ancona, Piombino, Alessandria. Sugli stessi dubbi il 30 settembre a Roma si è «autoconvocata» un'assemblea nata in realtà sulle primarie nella Capitale, ma presto trasformata in una discussione più generale (pubblichiamo un intervento a pagina 15).
Intanto per oggi è pronta una mozione per l'assemblea. Sempreché Vendola non sappia da subito rassicurare i suoi. Scegliendo bene le parole. Per esempio, da lì il presidente di Sel chiederà al Pd «il superamento dell'agenda Monti». Ma nel Pd già si fanno sentire le voci dei liberal che chiedono «continuità». In consonanza fatale con il programma dell'Udc. E con le proposte di uno dei protagonisti delle primarie, Matteo Renzi.
Comunque quello che «non si può fare è accettare il patto di legislatura con i moderati e i liberali che propone Bersani», spiega Fulvia Bandoli, «per il semplice fatto che ci depotenzia e non ci consentirebbe di portare avanti il nostro profilo riformatore: potremmo cambiare la riforma delle pensioni e del lavoro, il fiscal compact, la legge 40, il pareggio in bilancio in costituzione? Potremmo varare la patrimoniale e le leggi per i diritti civili?». L'errore, chiarisce, non è l'accordo con il Pd, che del resto era la scelta fondativa di Sel, sin dalla scissione con il Prc. L'errore è ingoiare senza obiezioni quel centrosinistra «asfittico» che il Pd progetta, Pd più Sel più socialisti di Nencini. «Perché abbiamo rinunciato a riunire gli stati generali della sinistra annunciati all'indomani delle amministrative, quando avevamo esultato delle vittorie di un centrosinistra che si mostrava con la sua faccia? Solo il dialogo i movimenti, il volontariato e le associazioni dà al centrosinistra la possibilità di vincere a proprio nome». «Nel Pd si sta combattendo una feroce battaglia sulle politiche economiche. Dobbiamo dare forza a chi chiede un cambio di direzione. Altrimenti all'orizzonte c'è solo l'alleanza con i moderati».
E poi c'è anche il tema della lista unico con il Pd, eventualità consigliabile in caso di riforma della legge elettorale. Riforma a cui Bandoli non crede. In ogni caso esclude la lista unica: «Significherebbe diventare a tutti gli effetti un'area politica dei democratici. Meglio ciascuno nella sua lista, anche se rischieremmo di più. In ogni caso», conclude, «in Sel nessuno la sta proponendo».

 

il manifesto 31 agosto 2012

 

 

 

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