Intervista a Angela Davis
di L. Ce.
Comunista, femminista, filosofa radical. Angela Davis è stata simbolo della controcultura radical nera e giovanile, fra i top ten della lista dei ricercati Fbi. Oggi a 68 anni è professoressa emerita e militante per i diritti dei prigionieri detenuti negli Stati uniti, più di due milioni di persone, in gran sproporzione membri di minoranze etniche e soprattutto afroamericani.
La sua storia è ancora attuale?
Ai ragazzi di questo secolo vorrei che il film raccontasse di un movimento che ha vinto.
Abbastanza forte da vincere contro Nixon e contro Reagan. Fu la solidarietà internazionale a rendere possibile quella vittoria. Vorrei che i giovani di oggi attraverso la mia storia imparassero che non è impossibile costruire movimenti collettivi in grado di cambiare il mondo in meglio.
Perché oggi?
Ora siamo due generazioni dopo quei fatti ed è importante non dimenticare quanto fu devastante la repressione scatenata contro di noi e allo stesso tempo la forza che ebbero i giovani nell’opporvisi. Perché oggi abbiamo bisogno di un’altra forte ondata di ragazzi che si oppongano in solidarietà, per questo Occupy è stato un grande esempio di ciò che è possibile nel 21mo secolo e grazie anche a Occupy esiste un dialogo aperto sul capitalismo. Un livello critico non più visto dagli anni 20 e 30, quando il partito comunista americano fu promotore del welfare state.
Perché ha voluto fare questo film?
Non è la prima volta che questa storia viene raccontata ma forse oggi ha una risonanza maggiore grazie alla coscienza crescente di come il capitalismo abbia impattato il nostro pianeta: l’economia neocoloniale, il complesso penale-industriale, ci sono così tanti motivi per cui dobbiamo costruire oggi movimenti potenti come quello che 40 anni fa riuscì a liberarmi.
Quali crede che siano oggi i temi più importanti?
Ognuno deve trovare la propria passione, gli argomenti che lo appassionano. Oggi questa passione esiste, per l’ambiente, per la pace, per l’eguaglianza e contro la discriminazione. L’importante è condividerle con persone in tutto il mondo, solo così un movimento può avere successo.Trovo che oggi molti giovani attivisti si preoccupino meno di scegliere una causa e riconoscano di più «l’intersezionalità» sociale, il femminismo, il razzismo, i diritti degli animali, l’omofobia e l’alimentazione che è emersa come il fulcro di una problematica politica e razziale legata agli strumenti di produzione globale del cibo.
Rimane idealista?
Rimango una persona che crede profondamente nella necessità di alternative alle attuali strutture di potere che il capitalismo ha imposto su tutti gli aspetti delle nostre vite. Non so dirvi che aspetto avrà ma è importante conservare la capacità di immaginare un mondo migliore. E guardando questo film ho nuovamente provato il senso di possibilità illimitata che sentivamo allora, quello che personalmente mi viene da mia madre che quando le chiedevamo perché non potevamo usare l’entrata dei bianchi ci diceva che sarebbe presto cambiato.
il manifesto 16 settembre 2012