di articolotre.com

Ergastolo. È questa la sentenza che arriva dal tribunale militare di Gaza in merito all’uccisione di Vittorio Arrigoni.
La sera del 14 aprile 2011 il giovane attivista italiano viene rapito da un gruppo salafita.
Qualche ora più tardi, su youtube viene pubblicato un video dove il ragazzo è bendato e legato, con abrasioni e lividi evidenti sul viso e sul corpo.
Il testo del messaggio che accompagna il filmato minaccia l’uccisione del cooperante entro le 30 ore successive, qualora non vengano rilasciati dal governo di Hamas alcuni leader salafiti catturati.


Arrigoni viene però ucciso prima della scadenza dell’ultimatum, strangolato con un filo di ferro. L’indomani sarà la polizia di Hamas a trovarne il corpo senza vita in un appartamento di Gaza.
Il processo per omicidio, iniziato lo scorso settembre, si è concluso con la condanna al carcere a vita per i due esecutori del crimine, Mahmud al-Salfiti e Tamer al-Hassasna.
Secondo indiscrezioni locali, la famiglia del trentaseienne lombardo si sarebbe opposta alla pena di morte per i responsabili, prevista dal codice di Hamas, nel pieno rispetto degli ideali e i principi del giovane.
La tradizione islamica, infatti, prevede che i parenti della vittima possano avere voce in capitolo sulla sorte degli assassini.

 

 

 

 

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