di Monica Bedana

A volte la vita corre più veloce del passo di una manifestazione e sabato scorso non ero a Madrid se non col cuore. Per le strade della capitale spagnola oltre un milione di persone a chiedere di potersi esprimere in un referendum contro i tagli imposti dalla liberale austerità e sul paventato salvataggio del Paese da parte dell’Unione Europea. Non una manifestazione qualunque ma un vero summit sociale che ha riunito, compatti, i sindacati, il settore dell’educazione, dei servizi sociali in generale e, in particolare, coloro che in famiglia o nel pubblico hanno a carico persone dipendenti: i beneficiari di una delle leggi socialmente più sentite dell’epoca Zapatero, completamente cancellata dai tagli.

E poi chi lavora nella sanità, nei servizi pubblici in generale e le donne, moltissme donne, motore di una corrente particolarmente attiva all’interno delle sei “maree tematiche” che strutturavano la manifestazione.
C’è poi il Portogallo appiccicato, dove un giovane meno di 48 ore fa si è dato fuoco per protesta; c’è ormai la certezza che la crisi sia una scusa per cambiare profondamente e definitivamente un modello sociale esemplare. 14mila milioni di euro di riduzione della spesa per la protezione contributiva alla disoccupazione fino al 2014 non lasciano dubbi sulla portata antisociale dei provvedimenti presi dal governo Rajoy in meno di un anno. Gli interessi sul debito pubblico spagnolo pagati sulla pelle di quell’1,7 milioni di famiglie che hanno tutti i loro membri disoccupati. E sui 5,7 milioni di disoccupati totali del Paese, secondo il sondaggiosulla popolazione attiva del 2012, 2º trimestre (EPA), ben 2,8 milioni di persone non godono di alcuna protezione pubblica.
La riforma del lavoro, per molti versi parallela a quella italiana in quanto a cancellazione dei diritti, ha reso più facile licenziare, ha emarginato i rappresentanti sindacali spalancando le porte ad uno squilibrio che ora pare incolmabile tra il lavoratore indifeso ed il potere incontrollato delle aziende. In un Paese in cui la pressione fiscale per gli imprenditori è estremamente più bassa rispetto al resto d’Europa.
Si induriscono i requisiti per l’accesso ai sussidi di disoccupazione e, al tempo stesso, si riduce drasticamente la spesa pubblica per le politiche attive dell’impiego.Il lavoratore dipendente viene stretto in una morsa che lo logora soprattutto dal punto di vista umano, facendogli credere di non avere abbastanza capacità per accedere ai diritti, riducendolo all’esclusione, alla povertà, all’emarginazione sociale e a farlo sentire finalmente colpevole della propria situazione. A ciò si oppone con forza la società spagnola: al fatto che un governo incapace di dare risposte socialmente equitative alla crisi, la scarichi sulle fasce più deboli della popolazione convincendole di aver vissuto per anni al di sopra delle proprie possibilità.
Il referendum è uno strumento di consultazione democratica di cui in Spagna non si è certo abusato: dal ’76 ad oggi ne sono stati fatti solo 4 ed anche questo fatto sottolinea la straordinaria drammaticità del momento.
C’è necessità impellente di non farsi rubare la democrazia con l’inganno e di scacciare a pedate certi fantasmi della dittatura che rivivono puntualmente quando le disuguaglianze danno una mano a spingere gli estremismi. Nella Spagna di oggi non può esserci più posto per striscioni come questo, apparso durante la manifestazione di sabato.
L’appuntamento è ora a fine mese con i sindacati europei. Come già detto altre volte, l’indignazione non basta più.Occorre rimettere al più presto il lavoro al centro a livello europeo e senza smagliature. E da lí riprenderci il futuro a cui ogni essere umano ha diritto.
PS:Il titolo del post è quello dello striscione dei funzionari catalani che abbero il coraggio di sfilare sabato a Madrid dopo l’imponente manifestazione per l’indipendenza della Catalogna della scorsa settimana.
Fonte: http://resistenzainternazionale.blogspot.it

 

 

 

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