di Maria R. Calderoni

Ma guarda. Il ministro della Salute Balduzzi si è detto «un pochino sorpreso». Dei dati semplicemente paurosi resi noti ieri dal rapporto dell'Istituto Epidemiologico "Sentieri", commissionato - con ritardo di anni - dal suo stesso ministero, sui "danni collaterali" causati a Taranto dall'inquinamento dell'acciaieria Ilva. Dove per danni collaterali ancora una volta si deve intendere uomini, donne, bambini. Dati da choc.
Piangete, se volete. I titoli sono già pronti, è "La strage silenziosa". E invece no, è la strage che è gridata da molto tempo e molto forte, ma che è rimasta inascoltata, soffocata, persino accettata. Cinicamente. Spietatamente.

L'acciaio, come Moloch, richiede vittime, un prezzo da pagare. O volete forse restare senza la materia prima per le vostre sacre auto?
Il padrone delle ferriere non crede alle lacrime. «L'aria di Genova non è diversa da quella del Brandenburgo o di Charleroi, ed è chiaro che investire per primi sull'ecologia altera il mercato. O no?».
Così ben dieci anni fa il padrone delle ferriere Riva rispondeva a chi gli contestava il disagio insopportabile subito dalla popolazione di Genova per l'inquinamento provocato dall'altoforno di Cornigliano in piena città. Insomma, dice il padrone delle ferriere, «se in Germania o in Belgio la gente respira aria inquinata, anche i genovesi devono ingoiare il rospo in silenzio. E pure i tarantini, se vogliono avere il lavoro». E anche questo, se vogliamo, «è un modo di intendere l'uniformità di regole all'interno dell'Unione europea: se in altri paesi c'è libertà di inquinare e di avvelenare lavoratori e popolazione, perché un buon imprenditore non deve poterlo fare anche in Italia?».
E' questo l'incipit dell'istruttivo e tempestivo ebook intitolato "Ilva", che Gianni Dragoni ha appena scritto per "Chiarelettere". Come si sa, «Emilio Riva, il signore dell'acciaio, il 26 luglio scorso, un mese dopo aver compiuto 86 anni, è stato messo agli arresti domiciliari nella sua bella casa di Milano
da un giudice per gli avvelenamenti e i tumori causati dalle micidiali emissioni di fumi e polveri dell'Ilva di Taranto». Accusato di disastro ambientale e di omicidio colposo, insieme al figlio Nicola, al direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso e ad altri cinque dirigenti, tutti agli arresti domiciliari.
«L'immensa fabbrica d'acciaio, la più grande d'Europa, più estesa della stessa città di quasi 200.000 abitanti dove sorge»: Gianni Dragoni ne narra la storia, incominciando proprio dal dato agghiacciante. «Secondo le perizie ordinate dalla magistratura, in tredici anni, dal 1998 al 2010, sono morte a Taranto 386 persone per colpa delle emissioni industriali, in media 30 decessi all'anno». Dato confermato, e anzi aggiornato ieri, con statistiche ancora più truci, appunto dal Rapporto Sentieri.
La storia di Emilio Riva, un padrone all'antica, unico proprietario e azionista della fabbrica più grande d'Europa ancora oggi gestita da un uomo solo al comando - lui e i suoi cari, figli e nipoti - come una vera e propria azienda di famiglia.
La storia di un tycoon che costruisce un impero acquistando dallo Stato, via Iri al tempo di Prodi,   l'ex Italsider di Taranto, un'azienda disastrata nei conti, ma di dimensioni gigantesche e dotata di impianti a ciclo integrale, capace, se ben gestita, «di rendere profitti colossali e regalare notevoli vantaggi competitivi».
E così fu. Con il gran colpo del gruppo siderurgico di Taranto, che a pieno regime è in grado di produrre 12 milioni di tonnellate di acciaio l'anno coi suoi cinque altiforni, «Riva entra in possesso di impianti nuovi che in seguito al boom dei prezzi produce utili al ritmo di 100 miliardi di lire al mese», diventando il terzo produttore d'Europa di laminati piani , con 17.500 dipendenti e altri due impianti a Genova e Novi Ligure.
Riva nel suo mestiere é bravo, ed è anche più bravo a fare i suoi conti. Per acquistare l'Ilva ha pagato 1460 miliardi di lire, ma l'impianto di Taranto «in poco più di un anno lo ripaga del prezzo sborsato».
Grandi profitti per la Riva Dynasty. Dal 2005 al 2008 ad esempio il gruppo ha guadagnato 2561 milioni di profitti al netto delle tasse; e ad esempio nel 2011 «il patrimonio netto di gruppo è di 4216,66 milioni».
Più 386 morti.

 

 

 

 

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