di Roberto Gramiccia

La notizia della nomina di Giovanna Melandri a presidente del Maxxi, l’arcimuseo romano dell’arte contemporanea, è di quelle che lasciano senza parole. La diretta interessata ha naturalmente accettato l’incarico con decisione fulminea, mettendo da parte qualsiasi dubbio di opportunità. Anzi ha avuto l’impudenza, rivendicando una sorta di diritto di supposta primogenitura, fondato sul suo operato di ex giovanissimo ministro dei beni culturali (chi lo dice che in Italia c’è la gerontocrazia?), di anticipare le più che probabili proteste, che si sono sollevate, infatti, da destra ma anche da sinistra (IDV, SEL).


 Ora a noi, insieme a molti altri nel mondo dell’arte, pare di poter dire che la nomina partorita dal ministro Ornaghi è a dir poco stravagante. E’ un po’ come se fosse nominato direttore della più grande azienda ospedaliera nazionale un ex ministro della sanità, solo per il fatto di aver contribuito, quindici anni prima, a creare le condizioni politiche per la realizzazione di un importante ospedale. Con la stessa logica, specie in tempi di rottamazione e di autoriciclaggio spinto, un ex ministro degli interni potrebbe fare il capo della polizia o un ex ministro della difesa il generale di corpo d’armata. Ma tant’è: questo è lo stato dell’arte a cui è giunto il sistema dell’arte contemporanea, della cultura e, più in generale, di un paese in cui un ministro, cosiddetto tecnico, nomina una politica di professione (che ha fatto il pieno di legislature, che si è occupata di sport e di politiche giovanili senza mai lasciare non diciamo un segno ma nemmeno una labile traccia del suo passaggio) a presidente del più grande museo  italiano di arte contemporanea. Come se non bastasse: una struttura, in gestione straordinaria da cinque mesi dopo una previsione di perdita per il triennio di 11 milioni.

Se questi sono i criteri “tecnici” di selezione dei dirigenti delle nostre strutture di eccellenza, come possiamo meravigliarci delle modalità con le quali sono nominati i direttori generali delle Asl, selezionati in base al manuale Cencelli, in assenza di qualsiasi garanzia sulla loro competenza. Nel frattempo, si apprende che la Melandri ha attivato le pratiche per le dimissioni da deputato. Sperare che queste pratiche siano lunghe e inestricabili e, nel frattempo, chi di dovere ci ripensi è probabilmente un’illusione. D’ora in poi, dovremo abituarci all’idea che la Melandri ci somministri nei territori più specialistici dell’arte contemporanea l’ulteriore, ineffabile dimostrazione della sua attitudine al nulla.

 

 

 

 

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