di Domenico Moro

Malgrado anche Confindustria si stia accorgendo che qualcosa non va nel governo Monti, il Presidente della Repubblica ammonisce a non cambiare rotta. Il fatto è che questa rotta porta la nave alla deriva. Ne sono indicatori i dati Eurostat sul debito sovrano europeo. Il debito pubblico italiano è passato dal 121,7% sul Pil del secondo trimestre 2011 al 126,1% del 2012, il dato peggiore dopo la Grecia.
L’aumento del debito si è però verificato in tutta la Ue, passata dall’81,4% all’84,9%, e nell’Eu - rozona, salita dall’87,1% al 90%.

Il debito italiano è aumentato di 4,4 punti percentuali,mentre quello dell’Eurozona è cresciuto di 2,9 punti e quello della Germania di soli 1,6 punti. Perché il debito, nonostante il rigore, aumenta? In primo luogo, in base ai criteri di Maastricht, la crescita del debito è calcolata non in termini assoluti ma in rapporto al Pil. Quindi, il debito aumenta non tanto perché cresce il suoammontare ma perché il Pil cresce meno del debito o decresce. In effetti, il debito italiano tra 2011 e 2012 è aumentato in valore assoluto del +3,8%, dato che è inferiore a quello dei primi dieci paesi dell ’area euro e, come abbiamo visto, anche al rapporto debito/Pil.
Invece, il debito dell’euro - zona, sempre in valore assoluto, è cresciuto del +4,8%, e quello tedesco è cresciuto del +4,6%, cioè più del rapporto debito/Pil. Se questa è la situazione del numeratore, il debito, vediamo qual è quella del denominatore, il prodotto interno. Nel 2012 la contrazione del Pil prevista dall’Fmi mentre per l’Eurozona è del - 0,4% per Italia è del -2,3%. Particolarmente grave è quello che accade nel settore industriale. Ad agosto 2012 rispetto ad agosto 2011 il calo della produzione industriale in Italia è stato il maggiore in Europa, -5,2%, contro il -2,9% dell ’area euro e il -1,8 della Ue a 27. Ancora più significativo è l’indice della produzione industriale. Fatta base 100 nel 2005, l’indice della produzione industriale italiana, escluse le costruzioni e aggiustata in base ai giorni lavorativi, ad agosto era 51,3, ovvero quasi la metà della produzione del 2005, mentre nell’eurozona era 82,5, in Germania 103,9, in Francia 69,7, in Spagna 61,1. La cosa bizzarra è che la bilancia commerciale nell’eurozona è molto migliorata. Tra gennaio e agosto 2012 l’attivo commerciale di beni dell’eurozona rispetto al resto del mondo è stato di 46,9 miliardi di euro contro un deficit di 26,8 miliardi nel 2011. L’Italia passa da un deficit di 18,4 miliardi tra gennaio e luglio a un attivo di 4,4 miliardi. La contraddizione è solo apparente, in quanto l’attivo della bilancia è dovuto più che all’aumento delle esportazioni, +9% nell ’Eurozona e +4% in Italia, al crollo delle importazioni, che crescono solo del +2% nell’area euro e scendono in Italia del -6%.
I metodi usati per ridurre il debito hanno gettato benzina sul fuoco. I Paesi che hanno applicato le misure draconiane di controllo di bilancio non hanno cessato di incrementare il loro debito. Nel frattempo hanno pagato, come nel caso dell ’Italia, il minore incremento del debito, con un maggiore crollo del Pil. Ancora più grave è che, a dispetto dell’obiettivo Ue di raggiungere il 20% di quota della manifattura sul totale del valore aggiunto, le dimensioni di questo crollo comportano la contrazione permanente della base industriale. L’aumento del debito è direttamente proporzionale all’entità delle misure depressive della domanda interna, cause fra l’altro del crollo dell’import.
Tutti effetti diretti dell’applicazione all’Europa del modello tedesco improntato all’export. Il punto è che non si può vivere di solo export, specie se lo fanno tutti. Più che il debito è la depressione del mercato interno, non solo dei singoli paesi ma dell’intera eurozona, a trascinarci verso il baratro, vista l’interdipendenza esistente tra tutti i Paesi europei.
La stabilità dell’euro, da mantenere con la disciplina di bilancio, è la leva per ridurre i salari e tagliare la spesa sociale, misure funzionali alla competitività secondo ilmodello tedesco. Non si tratta di una novità assoluta nella storia europea: le stesse dinamiche si verificarono negli anni Trenta. Allora ci si svenò per mantenere la stabilità monetaria, a difesa della base aurea, oggi dell’euro. Allora si finì per abbandonare la base aurea, ma non prima di avere costretto il movimento operaio ad accettare la deflazione salariale e i tagli dei sussidi. E soprattutto non prima di aver trasformato la crisi in Grande depressione. Oggi, sarebbe il caso di imparare dal passato e di cambiare strada.

 

Pubblico 25 ottobre 2012

 

 

 

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