Intervista a Claudio Giardullo di Giacomo Russo Spena

“Io e Ilaria Cucchi non siamo incompatibili, siamo due sensibilità diverse con uno stesso obiettivo: garantire maggiore rispetto delle regole e tutelare i diritti dei cittadini. L’introduzione del reato di tortura è indice di civiltà”. Claudio Giardullo, segretario generale del Silp Cgil, è il poliziotto democratico candidato nelle liste di Rivoluzione Civile: “Sono un uomo culturalmente di sinistra e credo sia fondamentale nel prossimo Parlamento rafforzare gli anticorpi dello Stato contro le mafie”.

Perché dopo una vita in polizia, ha deciso di entrare in politica? E perché con Rivoluzione Civile?
Conosco da anni Ingroia e mi ha convinto il suo progetto politico basato su equità e centralità del lavoro. Poi, ovviamente, per i temi di sicurezza e legalità che ritengo strategici per il futuro prossimo del Paese: il livello di opacità della nostra economia è aumentata per una miscela di capitali mafiosi ed illegali. Le infiltrazioni criminose sono arrivate nel triangolo industriale e produttivo del Nord, locomotiva della nostra economia. Dobbiamo intervenire per contrastare questo fenomeno dilagante.

Quale sarà la prima battaglia che farà nel caso dovesse entrare in Parlamento?
Una nuova legge sulla corruzione: sicuramente più efficace di quella varata dal governo Monti. La Corte dei Conti parla di 60 miliardi di risorse pubbliche sottratte per i giri di corruzione, è urgente intervenire. Bisogna creare anche un organismo indipendente sul modello anglosassone: i controlli non possono essere di competenza dello stesso esecutivo.

In Rivoluzione Civile è candidata Ilaria Cucchi, sorella di Stefano (morto dopo un arresto e un ricovero in ospedale in circostanze da chiarire)... ci saranno problemi tra voi?
Macché, l’eterogeneità della lista è una ricchezza. Abbiamo sensibilità diverse ma stessi obiettivi: garantire diritti dei cittadini e colpire chi non rispetta le regole. Non ho mai pensato di difendere gli operatori sociali che sbagliano.

La Cucchi, come primo atto in Parlamento, proporrà l’introduzione del reato di tortura. E’ favorevole?
Certo.

Lei in un’intervista al Manifesto di qualche tempo fa affermava: “L'introduzione del reato di tortura sarebbe solo un messaggio di sfiducia alle forze di polizia”. Ha cambiato idea quindi?
No. Dico, e dicevo, che il reato di tortura non deve diventare una campagna politica nazionale contro l’intera polizia. Attenzione alle petizioni di disconoscimento generale del nostro ruolo. Il metodo è sostanza.

Altro capitolo. MicroMega si è fatto promotrice di una campagna per il numero identificativo su caschi e divisa delle forze dell’ordine. Che ne pensa?
Non credo sia uno strumento idoneo perché può mettere in pericolo gli operatori di polizia che svolgono bene il proprio mestiere. Con l’identificazione alfanumerica potrebbero rischiare, in situazioni di scontri o forti tensioni di piazza, di essere oggetto di particolare attenzione da parte dei gruppi violenti. Penso soprattutto agli stadi. Qualunque sia la condotta del poliziotto non si possono rischiare cacce all’uomo o linciaggi.

Ma non trova che la matricola sia invece uno strumento per tutelare la cosiddetta polizia democratica ed estirpare invece le mele marce?
Ci sono altri modi e strumenti per identificare i rei di comportamenti illeciti, senza dover per forza accorrere ai numeri alfanumerici. E’ sufficiente un maggiore controllo interno e garantirsi dei supporti tecnici necessari: è così possibile in tempi rapidi individuare e punire chi sbaglia.

A 12 anni dal G8 di Genova, a mente fredda, cosa crede sia successo in quelle giornate?
Il governo di centrodestra, che stava per varare riforme impopolari a scapito delle solite fasce deboli, ha voluto terrorizzare la piazza, in un chiaro disegno politico. Una ferita profonda della società italiana – dove le forze conservatrici hanno provato a rompere il rapporto tra polizia e società civile – che ho tentato di rimarginare già pochi giorni dopo in un incontro nella sede della Cgil con alcuni rappresentati del social forum: chi ha sbagliato paghi e il rifiuto della violenza furono i due punti in comune da cui uscimmo da quel faccia a faccia. Il rapporto tra forze dell’ordine e cittadinanza è una risorsa contro qualsiasi deriva antidemocratica.

 

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