di Federica Pitoni
La nuova resistenza palestinese riconquista la propria terra con la testardaggine dei giusti. Dopo Bab al Shams (Porta del Sole), il villaggio nato vicino Gerusalemme qualche giorno fa ad opera di cittadini palestinesi che hanno “occupato” la loro stessa terra e piantato tende e cartelli e bandiere per costruire la prima esperienza di “colonia palestinese” in terra palestinese, sgomberato dopo quarantotto ore dalle forze di occupazione israeliane, ora a Beit Iksa, a ovest di Gerusalemme, gli abitanti della cittadina, che aveva una superficie di 8 kmq e che oggi a causa delle confische illegali dei coloni israeliani è ridotta a meno di mezzo kmq, hanno eretto il villaggio, non autorizzato dall’occupazione, di Bab al Karamah (Porta della Dignità).
Questa volta non ci si vuole fermare alle sole tende: verranno piantati alberi di ulivo e si costruirà una moschea.
E di nuovo la risposta dell’occupante non si è fatta attendere: gli israeliani hanno chiuso i check point per impedire l’accesso all’area, chiudendo il piccolo villaggio della dignità in un accerchiamento.
Una nuova forma di lotta che tocca i nervi scoperti dell’occupante. E’ una lotta pacifica e spontanea: occupare una terra occupata, mettere gli israeliani di fronte al fatto compiuto, alzare il velo della connivenza internazionale e costringere il mondo ad accorgersi che quella terra ha un suo popolo che ha pieno diritto di viverci. Occupare la propria terra per proteggerla dall’occupazione e proteggere la parte araba di Gerusalemme. Il villaggio sorge in un’area minacciata di esproprio, dietro il muro della segregazione innalzato da Israele, che renderebbe il 96 per cento del villaggio inaccessibile.
Da Bab al Shams a Bab al Karamah, il sole della dignità palestinese non tramonta. E la lotta del popolo palestinese continua fino alla vittoria.