di Francesco Piccioni
Se vuoi capire come funziona il mondo reale, devi entrare nei meccanismi della produzione. Per storia, cultura, eredità, i metalmeccanici sono abituati a farlo. Più degli altri, prima degli altri.
L'assemblea dei delegati Fiom in Fiat è quasi un ossimoro: ufficialmente non dovrebbero esserci, in qualche situazione sono stati espropriati dell'agibilità ma la fanno lo stesso, in altre sono fisicamente fuori dalla fabbrica (a Pomigliano), in altre ancora sono stati fatti rientrare dai giudici o stanno attendendo le sentenze. Però qui si discute con una concretezza che altrove te la sogni e non ci capisci granché...
Per esempio. Marchionne dice che il mercato dell'auto è in calo quest'anno del 40%. I giornali piangono calde lacrime per il povero amministratore delegato, qui gli si fanno i conti in tasca.
«Nel 2007 si vendevano in Italia 2,5 milioni di auto l'anno - spiega Giorgio Airaudo, segretario nazionale con la delega per il settore - quest'anno forse 1,5 milioni. Significa che Fiat ne dovrebbe vendere circa 400.000. Che è poi la produzione annuale di Melfi». Insomma: c'è da fare per uno stabilimento su cinque (fatte salve ovviamente le differenze di modello)
In questa situazione Marchionne è andato pochi giorni fa a Bruges come rappresentante dell'Acea (l'associazione europea dei costruttori di automobili) a chiedere un «politica europea» analoga a quella che ha smantellato la siderurgia molti anni fa: «sono necessari 24 mesi per ristrutturare il settore auto in Europa», ma i «costruttori Ue devono collaborare nel ridurre la capacità sovraproduttiva» e naturalmente la ristrutturazione avrà «ripercussioni sull'occupazione». Purtroppo per lui Volkswagen resiste all'idea, ma la strada sembra proprio quella.
Ora: quant'è attendibile la «politica» Fiat - che punta tutto su «meno diritti», più produttività, meno salario in proporzione alla fatica - se il futuro sembra quello dell'abbandono dell'Italia come sito produttivo? La strategia «meno diritti per tutti» prefigura un «conflitto brutale», che «ci riprecipita nell''800», verso lo stato dei paesi emergenti con cui «dovremmo competere». Servirebbe «un terzo neutrale», una volta era lo stato. Ma tra Marchionne e Monti avvengono incontri «ad personam», da cui non esce nulla di certo; mentre «noi chiediamo un tavolo per discutere del futuro produttivo della Fiat e di questo paese».
Non è una richiesta strana. La Fiom si batte naturalmente come un sindacato deve fare, per mantenere una certa idea di rappresentanza dei lavoratori in carne e ossa e - specie in Fiat - per recuperare un'internità piena sulle linee. Ma tenendo bene in vista la necessità di una «politica industriale» complessiva, senza la quale l'attività sindacale rischia di ridursi a inseguimento delle situazioni di crisi.
Ma si parla ovviamente anche di iniziative, mobilitazione, lotta. A Pomigliano, per dirne una, c'è un impianto tutto nuovo, con soli 2.000 lavoratori al posto dei 5.000 di prima. Ma stanno già in cassa integrazione (3 giorni su 5 questa settimana, due la precedente). «Nonostante stiamo fuori, gli operai ora si fermano di nuovo a parlare con noi; non hanno più fiducia né nella Fiat, né nei sindacati 'complici'». Un'assemblea esterna, due giorni fa, ha visto la presenza di 200 lavoratori; «non ce ne aspettavamo così tanti». Addirittura sono riprese le iscrizioni alla Fiom. Roba da matti... Ma «non gli faremo il favore di bloccare la fabbrica; si sta fermando da sola e Marchionne deve cuocere nel suo brodo».
Alla Magneti Marelli di Bologna, invece, si godono la sentenza che li riammette in fabbrica condannando la Fiat. E il fatto che a Bari, stesso marchio, il 60% degli iscritti FimCisl abbia riconsegnato le tessere. E si divertono anche a vedere i quadri dirigenti - che a Bologna sono spesso anche «funzionari Pd» - che in fabbrica li combattono e poi, nel comune di cui sono sindaci o assessori, sono «costretti» dalle convenienze elettorali a fare iniziative pubbliche per «riportare la Fiom in Fiat». Contraddizioni vere, che portano via voti a qualcuno e fanno aprire gli occhi ai più.
Per i prossimi giorni, però, le iniziative riguardano soprattutto le 61 cause per antisindacalità (un numero carico di memoria) e le elezioni per le rsa; da cui la Fiom «sarebbe» esclusa. Ma si farà valere.