di Stefano Galieni
Cie, ovvero centri di identificazione ed espulsione, il nome meno ipocrita che il ministro Maroni ha dato ai vecchi Cpt. La sostanza è la stessa, galere etniche che in continuazione organizzazioni umanitarie, commissioni
indipendenti di monitoraggio, parlamentari e organismi internazionali criticano aspramente. Pensati per identificare rapidamente i migranti “iregolari” sono peggiori degli istituti penitenziari, ci si può restare fino a 18 mesi. Mesi passati in gabbie vere e proprie, fra tentativi di fuga e di suicidio rivolte e atti di autolesionismo, psicofarmaci per far trascorrere un tempo immobile e discrezionalità imperante. Strutture, dannose e inutili almeno per lo scopo dichiarato – facilitare le espulsioni – , che hanno prodotto morte, dolore e annientamento psicofisico di migliaia di persone, strutture che negli anni sono divenute sempre più opache e invisibili, posti a cui non ci si deve avvicinare, che non debbono finire sotto i riflettori. La campagna LasciateCIEntrare, ”, è nata da un vasto cartello di associazioni e forze politiche- tra cui il Prc - lo scorso anno per denunciare la 'circolare Maroni' che bloccava l’accesso della stampa nei Centri, considerando i giornalisti “un intralcio”. Oggi, denunciano i promotori della campagna motivando quindi la nuova mobilitazione, “nonostante un abolizione formale del divieto, l'accesso è ancora reso difficile”.Per questi motivi si avvia una nuova mobilitazione, legata alla campagna europea “Open Access Now”, che dal 23 al 28 aprile vedrà parlamentari, consiglieri regionali e operatori dell'informazione visitare diversi Centri e Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) per riportare l'attenzione pubblica su questo tema. Il programma, al momento, vede in calendario per la prossima settimana 'viste' ai centri di Bologna, Trapani, Modena, Milano, Roma, Caltanisetta, Torino, Gradisca D’Isonzo e Crotone. Un appello con cui la Campagna lancia la mobilitazione afferma:« Eppure, ancora oggi la sospensione del divieto non rappresenta de facto la garanzia della libertà di informazione. Capire e raccontare cosa accade in questi luoghi è estremamente difficile a causa della discrezionalità con la quale le richieste di accesso vengono gestite e trattate. Grazie all’attenzione di molti giornalisti, avvocati e attivisti sono venute fuori storie di persone rinchiuse ingiustamente, di errori giuridico amministrativi, di rivolte, di mancata assistenza, di trattamenti al limite del rispetto dei diritti umani e civili. Abbiamo visto giovani nati e cresciuti in Italia che sono stati chiusi in un Cie, poi liberati con una sentenza, perché i loro genitori “stranieri” avevano perso insieme al lavoro anche il permesso di soggiorno. Abbiamo incontrato potenziali richiedenti asilo, donne vittime di abusi sessuali o dell’ignobile tratta delle schiave, lavoratrici e lavoratori residenti in Italia da anni la cui unica colpa è stata quella di aver perso il proprio posto di lavoro e di non averne trovato un altro in tempo utile. Abbiamo visto e sentito l’assurdità delle condizioni in cui lavora anche chi si occupa della loro vigilanza e assistenza. Ci chiediamo quanto questo sistema rappresenti un inutile costo per la pubblica amministrazione. Crediamo, al di là delle nostre differenti estrazioni e delle nostre posizioni politiche, che trattenere fino a 18 mesi rappresenti un’ulteriore aberrazione di questo sistema e di queste procedure. Crediamo che un uomo o una donna non possano essere privati di un diritto fondamentale ed inalienabile come quello della libertà personale, per una detenzione amministrativa. Siamo coscienti che non si tratta di una questione unicamente italiana ma che riguarda l’intera Europa, diviene perciò sempre più urgente aprire un dibattito che porti a rivedere le condizioni di movimento dei cittadini migranti. E’ tempo di trovare una soluzione alternativa alla detenzione amministrativa e crediamo convintamene che questo vada fatto ora. E questo chiediamo inoltre alla politica, che si apra subito un confronto a livello nazionale e internazionale per rivedere nei termini e nella sostanza l’attuale normativa. […] Senza un’informazione libera di poter informare, alla società civile e a un paese intero vengono sottratti i fondamentali strumenti di democrazia. La firma di tutti noi a questo appello è per ricordare e ribadire insieme la volontà che la nostra democrazia non arretri di fronte a nessun muro. Nè quello dei diritti umani, né tantomeno quello del silenzio e della censura». All’interno della campagna convivono diverse e articolate posizioni, da chi considera la detenzione amministrativa inevitabile, anche per periodi brevi e in condizioni più umane e trasparenti, a chi pensa a individuare soluzioni alternative a livello europeo. Per il Prc rispetto ai Cie intanto c’è una sola soluzione possibile, la loro chiusura.
Stefano Galieni