di Angelo d’Orsi

Festa del Lavoro? Si è già parlato, più o meno scherzosamente, del suo opposto: festa del non lavoro. E dunque, se così è, si può ancora parlare di festa? E si può scendere nelle strade, invadere le piazze, agitare le bandiere, e cantare le canzoni del “Movimento”, e infine, dopo i pranzi fuori porta e le libagioni di rito, ascoltare i concerti che sembrano orma diventati il cuore dei nostri primi maggio? Si può, insomma, ripeto: “festeggiare”? Sì e no. Oggi, questa ricorrenza, come non mai, cade in un momento di feroce attacco padronale – mi scuso per la banalità dell’espressione che i miei critici leggeranno in chiave di nostalgismo veterocomunista, ma tant’è – ai ceti proletari e in generale ai subalterni, a “coloro che non hanno e che non sanno”, per citare un esponente del pensiero reazionario italiano, di oltre un secolo fa (tale Mario Morasso, ispiratore della destra più estrema del tempo). Oggi, un Ministero di “tecnici” sta facendo il lavoro sporco che il Governo dei politici non è stato in grado di portare a compimento. Chiediamoci come ci stia riuscendo.

Innanzi tutto per ragioni politiche, ossia nell’ordine: 1) il crollo ignominioso del governo precedente, a cominciare dal suo capo, rivelatosi, agli occhi anche dei suoi sostenitori, un personaggio al di sotto dei più malevoli sospetti, per tacere del suo alleato, il moralizzatore Bossi, che ha superato in grandiosità il marcio della Prima Repubblica e della Seconda, mostrando a che punto il familismo amorale possa giungere: fino all’estremo degrado; 2) l’appoggio della ex Opposizione, in particolare di quel Partito che una volta aveva nel suo statuto ideale, prima ancora che nelle sue pratiche quotidiane, la tutela dei ceti più deboli, a cominciare dalla classe operaia, in quanto “classe generale”, la classe che difendendo se stessa, ossia i propri interessi di classe, difende in realtà gli interessi di tutta la società. Davanti alla inettitudine e alla corruzione dei berluscones e dei padan-leghisti, col soffio di aria pulita che sembrava giungere dal professor Monti (un po’ meno dalla sua compagine, troppo impelagata in conflitti di interessi, e in taluni suoi componenti palesemente al di sotto degli standard minimi di competenza; vedi il caso del famigerato sottosegretario Martone, quello che aveva chiamato “sfigati” chi aveva un destino meno felice del suo…) è stato quasi obbligatorio fare un’apertura di credito. Ma da qui a infilarsi nella grosse Koalition, alleandosi col nemico, ce ne passa! A meno che quel nemico non sia più tale, e che gli elementi di contiguità o di vicinanza siano maggiori e più forti di quelli di distanza e differenza. In ogni caso, in particolare il Partito democratico si è messo in un pasticcio politico dal quale non gli sarà facile levarsi. Con chi sta oggi quel partito: con la signora professoressa Fornero o con i pensionati a 7/800 euro al mese? Con Martone o con i giovani “sfigati”? Con i cassintegrati a zero ore o con il superministro Passera? Con le decine di migliaia di precari della ricerca o con il già rettore del Politecnico torinese, già presidente CNR, e ora ministro di Università e Ricerca, professor ingegner Profumo? Ci sono situazioni in cui occorre scegliere e non solo perché, come ricorda Nicola Abbagnano in un suo libro di mezzo secolo fa, “esistere è decidere”, ma perché la politica, che è anche arte della mediazione e del compromesso, è soprattutto scienza della decisione, tenendo presente i possibili esiti delle proprie decisioni a breve, medio e lungo termine. E se non decidiamo noi, la nostra parte politica, sono altri a decidere per noi. E non è l’economia a decidere: sono gli esseri umani, portatori di passioni, pulsioni, valori e disvalori, e soprattutto interessi. Ecco perché il “governo dei tecnici” è un imbroglio, una volta ribadito quanto già più volte ho scritto su queste pagine: con Berlusconi e Bossi avevamo al potere un cricca di malaffare, ora abbiamo un canonico “comitato d’affari della borghesia”.

 

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