di Marco Sferini

Non c’è niente da festeggiare. Ma una commemorazione il Primo maggio la merita comunque e, per questo, forse il miglior modo per ricordare la giornata internazionale di festa delle lavoratrici e dei lavoratori è fare una analisi dell’attuale stato di crisi economica che sta letteralmente impoverendo all’osso la popolazione italiana, che getta – dopo la Grecia – anche la Spagna in piena recessione e che sul piano politica spera in Francia di trovare in Hollande quell’inversione di rotta che certamente con la riproposizione di Nicolas Sarkozy non potrebbe neppure sperare.

Il paniere della spesa aumenta quasi del 5% e la benzina non è mai stata così cara dal 1996: il segno “più” antecede la cifra del 20,8%. E mentre Marchionne apre uno stabilimento in Serbia con salari da 300 euro al mese per 40 ore di lavoro settimanali, racimolando profitti su profitti, gli operai di Mirafiori, di Termini Imerese e di Melfi continuano la loro lotta contro la desindacalizzazione, il ritiro dei diritti e dei contratti che altro non fanno se non aprire ancora di più la strada all’egemonia padronale senza regole sopra ogni singolo lavoratore.
Nel lungo periodo, dunque, vince la strategia dell’emergenza e la crisi economica diventa l’alibi perfetto per le grandissime industrie per delocalizzare e per sospendere le tutele e le garanzie contrattuali.
Sul fronte dei consumi la domanda si contrae in presenza di una impossibile gestione del risparmio: i bassi salari che dominano nella attuale crisi economica, continuano ad essere bassi e le famiglie ritrovano fuori dalla loro porta di casa una politica governativa che selvaggiamente taglia qualunque residuo di protezione sociale. L’ultima a cadere sotto la mannaia del governo Monti è la sanità; ma i mal capitati sono tante e tanti: giudici, insegnanti e naturalmente l’esercito ingrossato dei precari dove ancora si può colpire con misure di alto livello di sfruttamento prendendo per la cinghia sempre più stretta chi già precedentemente era stato strangolato dalle liberalizzazioni e da un mercato del lavoro sempre più altalenante nei diritti e sempre più esigente nella creazione di zone di profitto certo.
Le speculazioni finanziarie mettono poi il cappello e la ciliegina sulla torta in tutto questo panorama desolante dove veramente i suicidi quotidiani di lavoratori, piccoli imprenditori e pensionati danno la cifra dell’incapacità veramente umana a sopportare una crisi economica che mina le fondamenta stesse della nostre vite.
Che serva un cambio di rotta è quasi banale da dire e da scrivere. Il problema che resta sul tavolo è la disposizione di determinate forze democratiche nel sostenere il governo Monti e nel “non voler costruire” la loro “fortuna elettorale sulle macerie del Paese”. Ma di quali macerie parla Bersani? Non si rende conto evidentemente che, per ogni giorno che passa, le macerie vecchie non si vedono più, sepolte da quelle nuove prodotte proprio dalle politiche liberticide e liberiste che Monti esegue per conto della Banca Centrale Europea provando a sostituire Sarkozy nell’asse economico con la Germania qualora le presidenziali francesi dovessero premiare il candidato socialista.
La sinistra italiana è plurale. E’ un dato di fatto. Ed è un bene che sia così. La nascita di “Alba”, di questo “nuovo soggetto politico” fondato sui beni comuni è un fatto interessante ma non pienamente convincente: non mi convince la drastica critica non tanto alla forma-partito (che si può discutere e rivedere in un aggiornamento “al passo coi tempi”, per dire così…), quanto la critica feroce ai partiti che è cosa ben diversa e che strizza l’occhio a quel turbine di antipolitica che devasta il Paese e che finge di essere la soluzione ai problemi dei più deboli e che, invece, è solo un deserto di qualunquismo che fa rabbrividire quando Beppe Grillo minimizza il triste ruolo della mafia nel nostro Paese paragonandola agli effetti attuali della crisi.
Non c’è soltanto un piano di etica che deve essere rivoltato contro queste affermazioni, c’è un rigetto totale di un pensiero di paragone tra l’azione criminale dei mafiosi e l’azione strutturale della crisi. Chi, come Beppe Grillo, gioca su queste ambivalenze e su queste prospettive gioca sporco e inquina la democrazia repubblicana con elementi di revisionismo dell’attualità che non possono non essere stigmatizzati e censurati.
La cattiva politica del movimento 5 stelle di Grillo non deve diventare un esempio per nuove esperienze a sinistra. Partiamo dunque, se è e sarà possibile, da una comune analisi della crisi economica e diciamo chiaramente che il capitalismo è la ragione di tutte le nostre disgrazie e che quindi alla base di tutto non può non esserci una critica senza appello al capitalismo e la volontà di un suo superamento.
Poco importa se chi fa questa critica si definisce come me comunista. Io mi definisco tale perché penso che il comunismo sia un principio di guida necessario nell’evoluzione anticapitalista e che si debba muovere in questa direzione. Ma federare la sinistra intorno all’anticapitalismo sarebbe già un grandissimo risultato.
Un tempo si parlava della politica dei “cerchi”. Questo potrebbe essere un primo cerchio, necessario per chi da sinistra vuole operare per una vera alternativa sociale, senza infingimenti.
Un secondo cerchio deve essere quello della testimonianza attiva di un recupero della democrazia sociale: democrazia e diritti sociali e civili devono poter tornare a convivere in questo Paese e avanzare per stabilire tappe di progresso che, se ignorate, ci porterebbero indietro di decenni e decenni, trascinando la nostra cultura (si pensi alla questione femminile e al tema dei femminicidi così drammatico…) sulla soglia del pre-costituzionalismo del 1948.
In questo cerchio possono stare forze politiche certamente non di sinistra, come l’Italia dei Valori, che però condividono con noi comunisti e con la sinistra in generale punti di difesa della democrazia: Di Pietro su un piano fortemente legalitario, noi su un piano più semplicemente di diritto e di uguaglianza del diritto, ma nella sostanza ciò che preme a tutti è la fine della commistione tra interessi privati e interessi pubblici.
Tutto questo lavoro di costruzione di un polo democratico e progressista non risolverà la crisi, non le darà nemmeno un senso contrario su cui lavorare per superarla, visto che la crisi economica è certamente più vasta e ampia di poveri programmi di governo o di opposizione, ma sarà il primo necessario passo per allontanare settarismi e divisioni e per mettere in campo un’alleanza capace di offrire oggi un’alternativa all’asse trasversale che regge il governo Monti e al quale non possiamo non fare opposizione.
Se poi il Partito Democratico decidesse, magari dopo la vittoria di Hollande (che mi auguro e che auguro fortemente a tutta la Francia) di rompere quest’asse e tornare a dialogare con le forze progressiste, allora una già definita alleanza di sinistra democratica e progressista potrebbe ragionare sulla sua partecipazione alla costruzione di un nuovo centrosinistra.
I rapporti di forza vanno sempre considerati e, se vogliamo tornare ad avere un rapporto di forza sul piano politico capace di incidere e contrattare in Parlamento con le forze moderate, dobbiamo sapere che da soli possiamo fare ben poco. Ma questa nostra pochezza non deve essere l’alibi per un isolazionismo cercato. Sarebbe la peggiore condanna che potremmo darci. E sarebbe una delega impropriamente data ad altri per gestire problematiche e situazioni dei più deboli e dei più poveri che non dobbiamo e che non possiamo non avere come barra di orientamento del nostro fare politica, del nostro essere comunisti. Buon Primo maggio a tutte e tutti. Tanto lavoro ci aspetta!

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